
Nesta e il Milan: "Il top in assoluto. I trofei, la Champions e Maldini..."
Non solo Lazio. Nel quarto episodio di ‘Fenomeni’, la serie di interviste di Amazon Prime Video Sport con Luca Toni, Alessandro Nesta ha parlato anche e soprattutto della sua esperienza al Milan da calciatore. Dal rapporto con Paolo Maldini fino alle finali di Champions, passando per tutti i trofei vinti: l'ora allenatore del Monza ha raccontato tutto. Di seguito le sue parole.
NESTA E MALDINI: COPPIA LEGGENDARIA - “Maldini? Il più forte in assoluto. Oltre la qualità fisica e tecnica, la forza mentale era clamorosa, era un martello. Quelle poche volte in cui sbagliava, non lo intaccava niente. Mi ha aiutato tanto, mi ha insegnato la mentalità. Io arrivavo da Roma, mi ha fatto capire come si stava al Milan. Maldini è l’unica persona che quando incontro mi mette in imbarazzo, nel senso che era diverso dagli altri”.
2004/05 LA FINALE DI ISTANBUL - “La finale persa a Istanbul? Nel primo tempo non c’era stata partita. Nello spogliatoio avevamo anche discusso, sapevamo che era lunga ancora. Loro li ha tenuti in vita Gerrard, era ovunque, è stato un animale. Noi sapevamo che dovevamo giocare forte ancora, che non era finita. È andato male tutto poi dopo i rigori. Nello spogliatoio nessuno parlava, nessuno ha detto niente. Eravamo tutti morti. Gattuso era morto, voleva andare via e smettere. Eravamo depressi. Tutti i giorni d’estate pensavo che non fosse vero. Poi ci siamo rivisti, ricaricati, avevamo un gruppo di italiani forti e ci siamo detti che non poteva finire così. Poi il destino ci ha fatto tornare contro il Liverpool. Dovevamo solo superarla e siamo ripartiti”.
SANDRO PIGLIATUTTO - “Al Milan non ci volevo andare all’inizio. L’anno prima mi aveva chiamato il Real Madrid e non ci sono andato perché giocavo alla Lazio, ero un ragazzo particolare all’epoca (ride, ndr). Poi è arrivato il Milan, la Lazio era mezza andata. Il Milan era il top mai visto. Tu puoi prendere qualsiasi casa vuoi in affitto e loro te lo pagavano, con tutto il mobilio. Così potevo pensare soltanto a giocare. I primi quattro mesi ho fatto schifo, poi sono partito e sono andato. Maldini mi ha dato una mano. All’inizio ancora non ero pronto a staccarmi da Roma, non riuscivo a sorridere. La finale di Champions contro la Juventus? Nessuno ha dormito la notte prima. Era il derby d’Italia, anche Maldini era teso. Quando l’ho visto così mi sono preoccupato. Anche Pirlo era teso ma non si vedeva tanto. È stata una partita difficile contro una squadra forte, rognosa. La gara è stata brutta, con poche occasioni. Ai rigori poi abbiamo vinto. Io gli ho fatto un po’ di maledetta a Buffon (ride, ndr). È andato a tirare chi se la sentiva. Io ho alzato la mano per andare, anche se il mister all’inizio non mi voleva vedere (ride, ndr). Nella mia carriera a volte sono andato a vuoto, come al derby per esempio quando Montella mi fa tre gol e sono uscito al primo tempo. Lì sono rimasto ferito da me stesso, per questo dovevo trovare un’occasione per rifarmi, per essere credibile a me stesso. Dovevo tirare e mettere via quella roba là. Mi ero preparato, ho pensato di aspettare e di guardarlo fino all’ultimo dove andava. Buffon invece non si è mosso, quindi ho dovuto aprire un po’ all’ultimo secondo. Ho fatto una maledetta e Gigi non l’ha presa. Una festa mai vista dopo la vittoria. Avevamo un gruppo speciale. Il Milan più forte è quello che ha perso a Istanbul, con Jaap Stam. Alla Juve c’era Marco Di Vaio che è come mio fratello, dopo la finale gli ho detto: ‘Attaccati’ (ride, ndr). Scherzo, ci siamo messi a parlare, era un po’ giù. Vincere la Champions ti porta in un mondo diverso, il tuo status sale come quando vinci il Mondiale. Altri rigori? Sempre contro la Juventus a Buffon in Supercoppa, e ho segnato. A Istanbul invece il mister non me l’ha fatto tirare (ride, ndr)”.
SCUDETTI MILAN - “Per me ne abbiamo vinti pochi, tre finali di Champions e due scudetti. Il club era predisposto per la Champions. Il mister predisposto per quello. Il Milan è stato fortissimo, la bravura di mettere dentro giocatori che nessuno conosceva come Kakà che sembrava il postino. Andava a duecento all’ora, ma nessuno si aspettava fosse così forte. Poi Thiago Silva, veniva dalla Russia. Tutti hanno sfruttato tutto. Lo scudetto più importante? Il primo perché eravamo usciti dalla Champions e abbiamo rimesso in piedi una stagione. Lo scudetto del cuore è quello che ho vinto a Roma, a Milano scudetti e tante Coppa Italia festeggi un giorno. A Roma abbiamo festeggiato un mese”.
ATENE - “Eravamo carichi e convinti che avremmo vinto, il destino ce li ha portati lì. Abbiamo giocato peggio, ma eravamo più solidi. Eravamo convinti di vincere. Pippo non stava in piedi, Gila era in un momento di forma mai visto e speravamo tutti che giocasse lui. Invece ha giocato Inzaghi, il mister ha avuto una grande intuizione. Il pre partita? Eravamo tesi, ma convinti che la portavamo a casa. Kakà era in una forma strepitosa e gli dava certe fiammate. Sapevano anche loro che era nostra. Seedorf? Gli voglio bene come un fratello, io ho un carattere particolare e litigavamo tanto perché era sempre al contrario. Lui è così, ti fa vincere le partite però ha un carattere duro”.







