
Pereira in bianconero: saudade di vittorie
Negli ultimi tempi il sentimento che più ha avvolto l’animo bianconero è stato quello della nostalgia: quel sentimento continuo di rimpianto non tanto per ciò che è stato, ma per quanto sarebbe potuto essere. La Juventus rimpiange le vittorie, quei pomeriggi primaverili prodromici alle notti champions, i tricolori, le glorie: saudade di ritornar grandi protagonisti del palcoscenico mondiale calcistico.
Sostiene Pereira, romanzo di Antonio Tabucchi del 1994, tratta del progressivo cambiamento del personaggio principale, Pereira, dipinto come un vecchio colpito dalla saudade, a cui manca la forza di volontà e di opporsi alle ingiustizie della dittatura di Salazar in Portogallo ma che, come in una sorta di romanzo di formazione “al contrario”, la recupera grazie all’incontro con un giovane e appassionato rivoluzionario, Monteiro Rossi, affascinante coprotagonista della storia.
La nostalgia viene intesa con il termine portoghese “saudade”. Secondo la tradizione popolare, la forma arcaica della parola saudade, soidade, venne utilizzata per la prima volta nel XIII secolo per raccontare le sofferenze dei naviganti distanti dalle loro terre. Alcuni studi sostengono che la parola derivi dal latino solitate (solitudine) e altri fanno risalire la parola al termine arabo sawdā (che indica l’umore malinconico). In ogni caso, la saudade è una nostalgia al futuro, qualcosa di realizzabile che però ci viene negato, ma allo stesso tempo con la forza mai doma della speranza di farcela.
Una parola che non si concentra sul rimpianto di un qualcosa che abbiamo vissuto, ma piuttosto sul desiderio di poter tornare indietro per vivere qualcosa che un tempo avremmo voluto realizzare oppure sulla brama di rinverdire vecchi fasti con nuova linfa vitale. Alla fine ciò che abbiamo vissuto possiamo sì, ricordarlo con malinconia, ma almeno quel ricordo esiste, non è un qualcosa che ha avuto luogo esclusivamente nella nostra mente, è un qualcosa che si è compiuto e si è vissuto almeno una volta nella vita, sappiamo quindi come riaverlo con gli strumenti adatti. Ciò che invece è rimasto nella nostra immaginazione rimarrà sempre un “puntino”, un qualcosa di inconcluso, di irrealizzato che potrebbe perseguitarci per sempre.
Saudade. Forse la più celebre fra le parole “intraducibili”. L’interminata lontananza da casa conosciuta dai marinai finisce per scavare i caratteri dei popoli che vivono il mare, così come le espressioni che più spesso portiamo in volto finiscono per scavare e diventare il nostro volto stesso. Un carattere del genere è distillato nella saudade, che noi stentiamo a riconoscere come un sentimento unico: è infatti un malinconico di nostalgia, di solitudine, di mancanza, ma anche di desiderio e anelito, che scaturisce dalla distanza nello spazio e nel tempo da ciò che si ama, si brama, volto al passato ma proiettato al futuro.
“La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro”. Credo che questa frase sintetizzi perfettamente il senso del romanzo di Tabucchi perché solo abbandonando il passato e agendo sul presente ci si può effettivamente proiettare al futuro e alle possibilità che ci riserva. La Juventus ha il suo Monteiro Rossi dentro di sé, da sempre! Dico a tutti quelli che a volte hanno paura di inseguire i propri sogni: non siete soli, non lo siete mai stati, avete la vostra saudade che vi prenderà per mano e vi riporterà verso ciò che ora state rimpiangendo.
Domani sera a Parma, prodi bianconeri, siate pregni di saudade della vittoria, e conquistatela! Buona Pasqua!
Roberto De Frede







