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Interismo, Lautaro e i suoi fratelliTUTTO mercato WEB
domenica 23 marzo 2025, 23:02Editoriale
di Gabriele Borzillo
per Linterista.it

Interismo, Lautaro e i suoi fratelli

Chissà quante volte qualcuno ha cercato di darvi lezioni di tifo. Capita anche a me, non vi preoccupate. E non si fa così, e non si dice cosà, e bla bla bla. Partiamo da un presupposto, unico e incontrovertibile: ciascuno tifa come meglio crede, non esistono maniere giuste o sbagliate. Però ci sono due cose che, opinione del tutto personale sia chiaro, mi urtano nemmeno poco: i fischi allo stadio durante la partita, mamma mia che fastidio e, a seguire ma non necessariamente nell’ordine elencato, le critiche a squadra e allenatore sparate per partito preso. Senza razionalizzare la situazione, gli avvenimenti, le tempistiche: no, per partito preso. Inzaghi non ha vinto uno scudetto, ne ha persi due è quella che preferisco, la battuta più divertente della stagione attuale. Perché parte da un presupposto sbagliato: e cioè che Simone, nonostante gli abbiano venduto due dei protagonisti dello scudetto numero diciannove – ricordate tutti il romanzo di quell’estate con addio annesso dell’ex allenatore o la memoria ha rimosso gli avvenimenti? – avesse tra le mani la squadra più forte e completa. Lasciamo stare la stagione successiva, culminata con la finale sfigata che più sfigata non si può di Istanbul, a sottolineare per l’ennesima volta che il calcio è fatto anche, soprattutto no, di quella parte posteriore del corpo che normalmente chiamiamo fortuna. E tralascio con cognizione di causa i commenti all’arrivo di Tikus, reduce da un infortunio importante, voluto con ostinazione e cocciutaggine da Piero Ausilio: sissignori, il tanto bistrattato Piero, ex calciatore, una laurea in giurisprudenza e anni di pratica nel mondo pallonaro.

Oggi l’Inter è Società di primo piano non solo in Italia: vero, ci è capitato il Bayern Monaco, squadrone costruito per vincere tutto il possibile, che non si trova per caso a giocarsi l’accesso in una semifinale Champions dopo aver piallato i campioni di Germania in carica nel corso di una sfida senza storia. Ma davvero voi pensate che la dirigenza di Monaco sia lì a sfregarsi le mani tutta contenta? Perché anche noi diamo fastidio, esiste un movimento – soprattutto all’estero – che esalta il modo di stare in campo dell’Inter. Esalta i suoi calciatori. Esalta, soprattutto, il suo allenatore. Che in patria viene considerato bravo, sì, e poco altro. Misteri del pallone italiota.

Chi ci rappresenta oggi, al di là dei Marotta, degli Ausilio, dei Baccin o dei Simone Inzaghi, sono i ragazzi che, in pratica ogni tre giorni, scendono in campo. E corrono. E lottano. E sudano la maglia. E difendono i nostri colori. Dovunque e comunque. Poi, certo, non capiterà sempre di vincere. Poi, certo, anche a me di tanto in tanto le fanno girare alla velocità delle pale di un elicottero. Ma è parte del gioco. L’Inter la trovo rappresentata non degnamente, di più, da questo gruppo: sempre in direzione ostinata e, come cantava De André, a volte contraria. Nessuno si tira indietro, nessuno tira indietro il piedone, nessuno fugge le proprie responsabilità. Siamo tutti la volontà di Denzel nel voler restare in campo a Bergamo, dai fasciami che vado avanti a giocare, l’intelligenza di Calha al costo di mezza tazzina di caffè, il dinamismo di Niccolò, trottolino amoroso dududadada, la classe di Bastoni, il sorriso di Tikus, la faccia di Lautaro, un capitano, un condottiero, un nerazzurro. Senza dimenticare tutti gli altri a cominciare da Mkhitaryan passando per Dimarco, Acerbi, Benji l’interista, il tocco di palla di de Vrij, che sembra danzare sul pallone come le sue dita sul pianoforte, Carlos Augusto, Matteo l’inossidabile e la panchina che non è panchina perché tutti sono importanti.

I nostri padri fondatori hanno scelto di andare contro un sistema che trovavano sbagliato. Hanno voluto, con tutte le loro forze, dare vita all’Internazionale. Per essere fratelli del mondo. Per essere uniti.  Questi ragazzi, oggi, stanno compiendo il cammino che volevano Muggiani, Paramithiotti, i fratelli Hintermann e gli altri 39.

Non è lezione di tifo: è che oggi mi sento tanto, ma tanto interista.

Avanti l’Effecì.