L'ennesima sinfonia nerazzurra
Ormai l’Inter è questa cosa: passa un tempo a far correre il pallone e l’avversario di turno dietro al pallone poi, quando l’attenzione e la resistenza altrui scema come è naturale sia, chiude la pratica in mezz’ora. Cagliari non è altro che il prosieguo di un cammino cominciato - stiamo parlando di campionato, prima che qualche genio della lampada se ne esca con elucubrazioni di poco senso – dopo quel quattro a quattro disgraziato dello scorso 27 ottobre che se ci penso ancora oggi mi girano a mo’ di elica ma poco importa, succede anche questo nel gioco del calcio. Otto partite, sette vittorie e un pareggio sfigato, ventiquattro gol fatti e due subiti. Numeri che ci riportano alla passata stagione, quella della seconda stella che sembrano passati anni e, invece, parliamo di mesi. Quella dominata in lungo e in largo battendo tutto e tutti. Quella irripetibile, con noi tifosi a lustrarci gli occhi per merito di un gioco divertente, dominante, vittorioso e superiore. Quella del grazie ragazzi, non ricordo tanta bellezza in tutta la mia carriera da tifoso: certo, ho goduto come un riccio nel 2010 ma, a livello spettacolo, questa Inter, ha raggiunto vette inesplorate alla faccia di chi ancora oggi, non avendo altro da fare, passa il tempo a denigrare Simone Inzaghi da Piacenza, regista nemmeno occulto di una macchina quasi perfetta. Poi qualche scivolone, assai doloroso, ci sta: è umano. Perché l’Inter è una squadra fatta da umani, da ragazzi che si sono trovati in un mix quasi perfetto, un club dove chiunque abbia il privilegio di poterci entrare ne esce solo per propria scelta, il più delle volte mera questione di vil denaro e null’altro. Ma personaggi simili non servono a uno spogliatoio dove amicizia e rispetto sono le basi fondamentali per inanellare annate comunque vincenti. Piaccia o meno a quelli di cui sopra, l’Inter inzaghiana ha sempre vinto qualcosa, ogni stagione. E che si trattasse di coppetta Italia o supercoppetta Italiana interessa poco il sottoscritto: un trofeo, al cielo, si è alzato. Spiaze per chi non lo ha fatto, non lo fa o continuerà a non farlo.
Cagliari, ennesima dimostrazione di forza di un’Inter che ha una propria collocazione e dimensione: il gioco del gatto col topo ha funzionato ancora. Certo, forse l’idea di far stancare l’avversario di turno prima di scaricare a terra cavalli e potenza potrebbe risultare pericoloso alla lunga: ma parliamo di un pericolo soppesato, di un eventuale rischio calcolato. Chiamatelo come meglio credete, è il nuovo biglietto da visita di una squadra con anima, cuore e attributi, dire palle potrebbe risultare diseducativo. Qui chiunque ha un ruolo definito, chiunque non gioca per sé stesso ma per il bene dei compagni, chiunque sa di portare, sulle spalle, colori gloriosi di una Società tra le più famose al mondo, piaccia o meno ai soliti burloni.
Amo questi colori, amo questo condottiero con l’eterna faccia del giovanotto, amo questi ragazzi che indossano il nero e l’azzurro con rispetto e onore. Lo so, prima o poi tutto ciò terminerà, è nelle cose. Ma, per adesso, mi godo lo spettacolo. Senza perdermene un secondo.
Alla prossima, buon 2025 a Voi.