
Firenze ormai si contenta di una Fiorentina da Conference League. Palladino come Ruggero di Verdone
Col tedioso brodino sorbito col Parma, per la Fiorentina sono definitivamente sfumate le illusioni di arrivare in Champions, posto che qualcuno ci abbia mai realmente creduto. Resta vivo, anche se sempre più complicato, l’obiettivo Europa League, ma per coglierlo i viola di Palladino dovranno raggiungere una quota punti finale di 68-69, 70 per stare più tranquilli, un compito non facile per una squadra che è ancora ferma a 53 lunghezze, mancano infatti 6 partite a fine campionato e tra queste i viola troveranno la Roma a Roma e il Bologna alla penultima di campionato. Difficile quindi dire se, mutuando il titolo di un bel film molto malinconico del 1993 con Anthony Hopkins e Emma Thompson, in quel che resta del giorno ci sia ancora tempo per sognare.
Eppure, parrà strano a dirsi , ma che i viola non vadano in Champions non è poi tutta questa iattura, difatti quel che ci pare è che il club viola non sarebbe ancora pronto per questo grande salto, ma spieghiamoci: è vero che la coppa orecchiuta porta notevoli introiti, ma obbliga una società che voglia parteciparvi senza rimediare figure di palta, anche ad investimenti di notevole consistenza, spese che è tutto da dimostrare la Fiorentina di Commisso sia disposta a mettere in atto. Per disputare la Champions, come ci insegna il ricordo dell’ultima viola che vi giunse, quella di Prandelli nel 2009-2010, una società è costretta ad allestire una rosa molto profonda, in pratica due squadre di valori non troppo diversi, con relativi costi in termini di cartellini e stipendi. Quindici anni fa i Della Valle e la loro area tecnica riuscirono a farlo, sebbene con qualche noioso mal di pancia e qualche limite nella qualità di alcuni elementi, poi quella squadra molto ben allenata da Prandelli (uomo di esperienza) fece una bella figura in campo internazionale, ma in campionato chiuse all’undicesimo posto e rimase fuori dalle coppe. Anche quella società non era probabilmente pronta per simili palcoscenici e lo si intuiva da piccoli particolari, come una famigerata guantiera di dolcetti in sala stampa: all’andata a Monaco in sala stampa all’Allianz Arena l’accoglienza a noi cronisti fu da ristorante stellato, nell’ampio salone era disposta una lunga fila di scaldavivande pieni di ogni tipo di pietanza, a distribuire le porzioni su piatti di ceramica c’era un piccolo esercito di camerieri in divisa bianca linda con cappelloni stile chef. Al Franchi, per accogliere i colleghi stranieri su un ripiano fissato al muro stava una guantiera, una di numero, di dolcetti marci e da bere una bordolese di vino Santa Cristina rosso presa alla Coop con accanto un cavatappi modello anteguerra, oltre naturalmente all’acqua in bottigliette da 50cl stipate nel frigo che dominava l’amena stanzuccia, un corredo che anche una massaia dei baraccati si sarebbe vergognata di presentare. I particolari appunto.
Ora, confidiamo, anzi siamo certi, che l’attuale società non cadrebbe in simili piccinerie, ma solleviamo dubbi sul fatto che costruirebbe una rosa profonda e di omogenea qualità (malignamente ricordiamo che Kean non ha uno straccio di riserva di ruolo). I particolari dicevamo, come alcune parole che sembra quasi vengano dette a caso tipo quelle del vice di Palladino Stefano Citterio che nel post gara col Parma si produce in una maldestra giustificazione filosofica della pavidità e dichiara di non considerare il punticino rimediato con gli emiliani un’occasione persa, quando invece pare evidente che lo sia stata una occasione persa, ma per tacere. O quel Rocco Commisso che in versione passante per caso afferma di augurarsi che Kean a fine anno resti, ma aggiunge che qualora arrivino offerte per lui verranno valutate, e scorda che esiste una clausola la quale già fissa un prezzo preciso per il bomber viola, 52 milioni di euro, e che se si desidera ritrattare quella clausola assieme allo stipendio di Kean che è diventato inadeguato viste le sue sfavillanti prestazioni (circa 2,2 milioni l’anno), tocca proprio a lui che è il presidente del club intavolare una veloce e decisa trattativa per cambiare la situazione.
I particolari appunto, poichè come insegnava quel grande sapiente di Ermete Trismegisto, così in basso come in alto, ovvero le leggi che regolano le cose grandi sono le stesse che regolano le cose piccole e viceversa, in altre parole i particolari.
E infatti alla Fiorentina di questi chiari di luna di una primavera che tarda ad arrivare del tutto, i casi aperti sono più di uno, di Kean abbiamo appena detto, ma anche altri big aspettano di risolvere le loro situazioni, in queste ore si parla molto di Dodo che qualcuno vorrebbe già stanco di attendere segnali dalla Fiorentina e pronto ad ascoltare altre proposte.
Per tutto questo diremo, anche se a taluni potrà dar uggia sentirlo, che la Fiorentina, almeno in questi anni di gestione Commisso, è una squadra da Conference League.
E ciò probabilmente è frutto di una serie di scelte del club, ma anche del fatto che l'ambiente viola è abituato a contentarsi, a Firenze ci si accontenta troppo facilmente o, se volete, la piazza è stata condizionata a soddisfarsi con poco e non a caso la Fiorentina frequenta solo la competizione europea minore, e talvolta vi ha anche stentato, ma ha raggiunto anche due gare finali perdendole entrambe.
Ma l’ammaestramento a contentarsi dura da molto prima, gli anticamente riottosi fiorentini hanno imparato a non pretendere di sedersi al tavolo dei ricchi. Colpa del trauma da fallimento e dell’esperienza in C2 ad inizio millennio, seguita da quasi un ventennio di normalizzazione marchigiana, anche se non sono mancati momenti memorabili, coincidenti coi picchi di ambizione padronale, infine l’ultimo quinquennio americano, foriero di grandi illusioni al principio in gran parte svanite dopo anni animati solo da un dibattito diffuso e infinito di commercialisti impegnati in accorate discussioni su come tutelare il portafogli di un multimiliardario, sono tutte queste, ci pare, le cause del mutamento di personalità di una piazza che era persino troppo insofferente e pretenziosa ed è diventata rassegnata alla Conference League, hanno pianto un poco poi si sono abituati, a tutto si abitua quel vigliacco dell’uomo, dice Fedor Dostoevskij.
E non a caso giusto stasera si gioca la Conference League per la sfida di ritorno col Celjie dopo il 2 a 1 per i viola in Slovenia. Alla vigilia un bellicoso Palladino commentando le parole sfidanti del tecnico del Celjie risponde che oggi ’si vedranno i fatti’, sul caso Fagioli il mister viola la mette invece sui sentimenti parlando di ‘sostegno e amore’ per il suo giocatore, un po’ come lo hippie Ruggero di Verdone in ‘Un sacco bello’ che disse:’ è sempre il bene che vince e il male che perde’. Il resto sarà solo la partita di oggi.







