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I dolori dei giovani Raffaele e Albert
Dopo l’orrida prova col Como e con il bel ciclo di vittorie consecutive ormai tristemente lontano, Raffaele è tornato nel mirino, ma stavolta il primo tiro verso il piccione Palladino non è arrivato dalla stampa sediziosa, i giornalai felloni hanno infatti compiuto i soliti attacchi critici, ai quali nel mondo del pallone professionistico un tecnico e un club dovrebbero ormai fare il callo, anche se ormai in tutti i settori sembra che si faccia fatica ad accettare serenamente il ruolo della stampa che svolge un compito in fondo necessario, si ricordi che il giorno in cui infine taciteranno noi, dopo pochissimo starete zitti anche voialtri. Nè ha preso posizione la tifoseria con salve di fischi allo stadio che invero non ci sono stati malgrado la prestazione avvilente dei viola. Il primo fuoco, è stato ancora una volta quello ‘amico’ dall’interno della società, con le parole di Pradè, e della squadra con l’aperta critica di Pongracic nel post partita.
Tuttavia, chiunque sia stato a sparare per primo e più forte, si ha sempre più l’impressione che il tecnico viola, mutuando l’immagine che il Manzoni dà di Don Abbondio nei Promessi Sposi, sia sempre di più un vaso di coccio tra vasi di ferro, del resto è l’anello debole e in un mondo dove onore e coraggio non sono più valori, è e sarà sempre la via più facile attaccare un allenatore piuttosto che la dirigenza o la potente proprietà, si sa che lo spirito dei tempi è essere forti coi deboli e deboli coi forti. Fatto stà che Palladino tra i suoi giocatori, i dirigenti, la stampa e la tifoseria, ha ormai il solo Commisso che ancora lo difende, anche perché altrimenti l’impressione è che sarebbe già stato esonerato da Pradè il quale non perde occasione per criticarlo aspramente in pubblico. E del prelato manzoniano, Palladino pare avere anche l’indole pavida e passiva, il tecnico infatti non è un allenatore talmente convinto della propria idea di calcio da essere disposto a soccombere per amore di quella, no, Palladino abbozza, non si difende con piglio dagli attacchi del suo dirigente o dei giocatori o di un procuratore, subisce, ingoia, muta parere, cambia stile e pure modulo, si ricordi come ha infatti abbandonato la sua scelta originale della difesa a tre. Se si deve soccombere (sportivamente) non è forse meglio che accada per difendere le proprie idee, ancorchè sbagliate, piuttosto che quelle altrui?
Ma se il problema, si diceva, è la sua indole tutt’altro che sfrontata, anche la personalità di uno di coloro che sarebbero dovuti essere i punti di forza della sua squadra, Albert Gudmundsson, è invece sul demoralizzato andante, sul disagio dell’islandese naturalmente si accavallano le voci più disparate che adducono le più bislacche motivazioni alla base dell’involuzione tecnica del giocatore.
Si sa che nella città di Dante che in fondo è un paesone talvolta un po’ provinciale e non una metropoli, quasi sempre dinanzi ad un problema partono come si dice nella celeberrima scena del film Fantozzi le voci più incontrollate, alcune lunari e fantasiose.
Adesso tuttavia, poichè dice il vecchio adagio che tanto tuonò che piovve, dopo la radunata delle banalità per giustificare le prestazioni scarse, è arrivato il problema più serio, infatti poscia l’uggia, la tonsillite e gli infortuni pregressi lunghi mesi, si apprende che a causa di un colpo al deretano l’islandese ha riportato una frattura al ‘passaggio sacro coccige’ che vedremo quanto tempo ci vorrà perchè guarisca.
Pensando agli obiettivi che la squadra viola persegue, forse per ottenere se non la felicità almeno la contentezza, basterebbe non confondere quel che ci si augura con ciò che si pretende: la Fiorentina quest’anno, come in tutte le stagioni della gestione Commisso, è partita per migliorare la classifica dell’anno precedente, perciò se infine arriverà in Europa League centrerà abbondantemente l’obiettivo che si è data, solo altre componenti dell’ambiente viola hanno parlato e parlano di mete più importanti. In tale chiave i dolori dei giovani Raffaele e Albert si ridimensionano sensibilmente. Del resto i latini dicevano che è felice chi si accontenta della sua sorte.
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