CAGLIARI, TRA STADIO E REALTÁ
di Vittorio Sanna
Solo privato, pubblico e privato, solo pubblico. Il gioco delle tre carte a Cagliari dura ormai 28 anni. Ero giovane, 1996, quando in un padiglione della Fiera di Cagliari venne presentato un plastico, bellissimo, di un nuovo stadio, bellissimo. Presidente Massimo Cellino. Anche lui era giovane, giovanissimo per essere un presidente. Allora dialogava con ilpotere pubblico che cambiava troppo in fretta: una volta è di destra e una volta di sinistra. Durano molto meno di quanto dura una pratica burocratica, i debiti pendenti, un programma elettorale, il tempo delle promesse e, quasi fossimo l’antica isola di Itaca, Penelope tesseva di giorno la tela per poi disfarla durante la notte. Non so se stiamo aspettando il ritorno di Ulisse.
Una cosa è certa per fare uno stadio stiamo girando da tempo in lungo e in largo, bussando alle porte, ponendo prime pietre, collezionando disegni e elaborando immagini. Prospetti e programmi, presentazioni e sorrisi, promesse da marinai sotto gli occhi di Bonaria che guarda al mare mai calmo dei rapporti tra pubblico e privato. Il solo privato è diventato maggiorenne. In 18 anni di gestione le ha tentate tutte, si è anche candidato a destra partecipando però al Festival dell’Unità non ricordo se prima o dopo: rifacciamo il Sant’Elia, spostiamolo a Sestu che con la “u” finale non era elegante, vicino all’aeroporto di Elmas, guai costruire, addirittura sondaggio a Terralba, proposta ad Assemini, blitz a Quartu dopo l’esodo a Trieste. Arrestato. Ma il problema non era solo il privato. Era la sfida, anche aggressiva, provocatoria, umiliante per il pubblico. Si sono svegliati i fenicotteri, ribellati gli archeologi, accese le sirene, scattate le manette. Per uno stadio che ancora non c’è, o che forse c’è ma da un’altra parte, parcheggiato davanti al Sant’Elia, vecchio e decrepito, triste e scoraggiante.
Macerie che costano. Il pubblico da solo impossibile che possa prendersene carico, il privato ha paura, il pubblico non cede il potere di fare, per poter ancora decidere, ogni quattro anni, pochi per costruire uno stadio, per una pratica che passa da destra a sinistra, da sotto a sopra, da regione a comune. Lo stadio non c’è. O meglio, c’è da smantellare, per poi rifare. C’è accampato in assedio al nuovo che verrà. Ha già fatto i battesimi, ha il nome ma non la luce. L’equilibrio non si trova, la palla si gioca in orizzontale o all’indietro.
Nessuno affonda per paura di scoprirsi e beccare il contropiede. C’è una bella canzone di Piero Marras nata per una speranza politica legata allo sport. Al posto di Godot, Gigi Riva. Lo stadio ci sarà? Forse. Quando Gigi Riva tornerà. Sarà tre volte Natale e anche i preti potranno sposarsi ma soltanto a una certa età. Chissà, l’anno che verrà.