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I boschi, i funghi, la caccia al cinghiale. La nuova vita di Peruzzi: "Oggi mica potrei giocare"
Angelo Peruzzi col calcio non ha più niente a che fare. Nel corso di una intervista al Corriere della Sera, l'ex estremo difensore ha parlato della sua nuova vita: "Perché? Tutto è cambiato. I giocatori? Un’azienda. Firmano un triennale e dopo pochi mesi chiedono l’aumento col procuratore o vogliono essere ceduti. I portieri? Più bravi coi piedi che con le mani. Io oggi mica potrei giocare. Non dico sia sbagliato, ma non fa per me. Meglio i boschi, la natura".
L'attualità: "A casa ci sto poco. Curo i miei interessi immobiliari e soprattutto sto all’aria aperta: il mio terreno, i miei boschi, i funghi, la caccia al cinghiale. La famiglia, gli amici, le cose semplici che mi fanno star bene. Il calcio è diventato un cinema, non fa per me. Mi chiamavano Cinghialone? Non mi piace, preferisco Tyson, me lo mise Liedholm".
Il primo ricordo legato al pallone?
"Anni ’70. L’ultima strada di Blera, polverosa, poco frequentata: tre contro tre con una piccola palla di gomma per fare gol, con le cassette di legno come porte".
Senza portieri?
"Senza. Mi divertivo a fare gol. Ma, diciamo la verità, ero una "pippa"".
Ma allora come è potuto succedere?
"La mia maestra elementare, in quinta, organizzò una partitella. Chi va in porta? Silenzio. Allora facciamo così: chi tocca la traversa fa il portiere. Ero il più alto, la sfiorai, sono rimasto tra i pali. Due anni dopo, l’ex romanista Scaratti viene a Capranica, pochi chilometri da casa, per un provino della leva ’69. Io guardo da dietro la porta. Poi alla fine fa all’allenatore dell’epoca: e quello? indicando me. Para benino. Cominciò così".
L'attualità: "A casa ci sto poco. Curo i miei interessi immobiliari e soprattutto sto all’aria aperta: il mio terreno, i miei boschi, i funghi, la caccia al cinghiale. La famiglia, gli amici, le cose semplici che mi fanno star bene. Il calcio è diventato un cinema, non fa per me. Mi chiamavano Cinghialone? Non mi piace, preferisco Tyson, me lo mise Liedholm".
Il primo ricordo legato al pallone?
"Anni ’70. L’ultima strada di Blera, polverosa, poco frequentata: tre contro tre con una piccola palla di gomma per fare gol, con le cassette di legno come porte".
Senza portieri?
"Senza. Mi divertivo a fare gol. Ma, diciamo la verità, ero una "pippa"".
Ma allora come è potuto succedere?
"La mia maestra elementare, in quinta, organizzò una partitella. Chi va in porta? Silenzio. Allora facciamo così: chi tocca la traversa fa il portiere. Ero il più alto, la sfiorai, sono rimasto tra i pali. Due anni dopo, l’ex romanista Scaratti viene a Capranica, pochi chilometri da casa, per un provino della leva ’69. Io guardo da dietro la porta. Poi alla fine fa all’allenatore dell’epoca: e quello? indicando me. Para benino. Cominciò così".
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