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De Laurentiis e Cardinale, quando i dirigenti non aiutano i presidenti
Telefonò il Conte Pontello e venne in sede con Ranieri e Luca, per offrire la presidenza della Fiorentina.
Avessi accettato sarei stato uno sciocco presuntuoso.
Ero uno stipendiato e immaginate la presenza in una riunione di Lega, tra Berlusconi e Mantovani. Anche se l'idea era giusta, per passare bisognava dirla all'uno o all'altro. Inoltre non gradivano, se volevano parlare col Conte, un intermediario.
Rifiutai.
Prima perché il nome Pontello era garanzia e doveva rimanere, poi avrei fatto danno alla società, ai tifosi, alla città e a me stesso. Nonostante avessimo ceduto Massaro e Galli al Milan e Passarella all'Inter, la squadra era pronta a lottare per scudetto e Coppa UEFA, con l'arrivo di Van Basten, Kieft, Diaz, Di Chiara e Falcao. Certo per un solo motivo: il Conte Pontello, uomo di potere.
Insostituibile.
Il ricordo sorge spontaneo dopo aver letto le dichiarazioni di De Laurentiis al Business of Football Summit organizzato a Londra dal Financial Times. Con tutto il rispetto per il Presidente del Napoli, non sono d'accordo su alcuni punti.
Giusto quando afferma che il calcio è impresa, dovrebbe offrire spettacolo in stadi confortevoli ed estirpare il cancro degli agenti, eccezioni escluse. Vabbene rivedere e migliorare la tv, ma non che gli arbitri dovrebbero dipendere dai club e dialogare, né che in futuro si vedranno squadre da 40 calciatori e, forse, due allenatori, uno per campionato e coppe nazionali e l'altro per l'Europa. Il problema è uno solo: la partita della domenica, da cui discende il business. Per migliorare bisogna capire. Dobbiamo avere uomini preparati: manager, allenatori e istruttori degni di questo nome. Superfluo aggiungere che la rivoluzione dovrebbe partire da Coverciano.
Se Aurelio De Laurentiis va spesso sopra le righe, non è stato guidato. Il primo compito di un manager è allenare il presidente a capire come muoversi in un ambiente tanto delicato. Un esempio? Il numero uno di Red Bird, Cardinale.
E' possibile leggere a fine febbraio: "Cambio il Milan. Io e Ibra non siamo soddisfatti. Pronti a modificare ogni aspetto del club per vincere lo scudetto"? Così la prima pagina della "rosea".
Poi la terza: "Mercato e allenatore. Ibra comanda già". Se i panni sporchi si lavano in famiglia, che danno per il club, il tecnico, la squadra e lo stesso Ibra? Bastava mordersi la lingua e vivere felici e contenti fino a maggio.
Non da separati in casa.
Ma il padrone ha detto. Guai contraddirlo.
Sicuri che con tanti signorsì andrà lontano?
di Claudio Nassi
Avessi accettato sarei stato uno sciocco presuntuoso.
Ero uno stipendiato e immaginate la presenza in una riunione di Lega, tra Berlusconi e Mantovani. Anche se l'idea era giusta, per passare bisognava dirla all'uno o all'altro. Inoltre non gradivano, se volevano parlare col Conte, un intermediario.
Rifiutai.
Prima perché il nome Pontello era garanzia e doveva rimanere, poi avrei fatto danno alla società, ai tifosi, alla città e a me stesso. Nonostante avessimo ceduto Massaro e Galli al Milan e Passarella all'Inter, la squadra era pronta a lottare per scudetto e Coppa UEFA, con l'arrivo di Van Basten, Kieft, Diaz, Di Chiara e Falcao. Certo per un solo motivo: il Conte Pontello, uomo di potere.
Insostituibile.
Il ricordo sorge spontaneo dopo aver letto le dichiarazioni di De Laurentiis al Business of Football Summit organizzato a Londra dal Financial Times. Con tutto il rispetto per il Presidente del Napoli, non sono d'accordo su alcuni punti.
Giusto quando afferma che il calcio è impresa, dovrebbe offrire spettacolo in stadi confortevoli ed estirpare il cancro degli agenti, eccezioni escluse. Vabbene rivedere e migliorare la tv, ma non che gli arbitri dovrebbero dipendere dai club e dialogare, né che in futuro si vedranno squadre da 40 calciatori e, forse, due allenatori, uno per campionato e coppe nazionali e l'altro per l'Europa. Il problema è uno solo: la partita della domenica, da cui discende il business. Per migliorare bisogna capire. Dobbiamo avere uomini preparati: manager, allenatori e istruttori degni di questo nome. Superfluo aggiungere che la rivoluzione dovrebbe partire da Coverciano.
Se Aurelio De Laurentiis va spesso sopra le righe, non è stato guidato. Il primo compito di un manager è allenare il presidente a capire come muoversi in un ambiente tanto delicato. Un esempio? Il numero uno di Red Bird, Cardinale.
E' possibile leggere a fine febbraio: "Cambio il Milan. Io e Ibra non siamo soddisfatti. Pronti a modificare ogni aspetto del club per vincere lo scudetto"? Così la prima pagina della "rosea".
Poi la terza: "Mercato e allenatore. Ibra comanda già". Se i panni sporchi si lavano in famiglia, che danno per il club, il tecnico, la squadra e lo stesso Ibra? Bastava mordersi la lingua e vivere felici e contenti fino a maggio.
Non da separati in casa.
Ma il padrone ha detto. Guai contraddirlo.
Sicuri che con tanti signorsì andrà lontano?
di Claudio Nassi
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