Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendari
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliaricomoempolifiorentinagenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliparmaromatorinoudinesevenezia
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenafrosinonelatinalivornonocerinapalermoperugiapescarapordenonepotenzaregginasalernitanasampdoriasassuoloternanaturris
Altri canali euro 2024serie bserie cchampions leaguefantacalcionazionalipodcaststatistichestazione di sosta
tmw / milan / Primo Piano
Ambrosini: "Le partite del Milan troppe volte mi hanno dato la sensazione di vedere una squadra che ha giocatori forti, ma non di essere una squadra forte"TUTTO mercato WEB
Oggi alle 16:00Primo Piano
di Manuel Del Vecchio
per Milannews.it

Ambrosini: "Le partite del Milan troppe volte mi hanno dato la sensazione di vedere una squadra che ha giocatori forti, ma non di essere una squadra forte"

Massimo Ambrosini, storico centrocampista ed ex capitano del Milan, è stato intervistato da Luca Serafini per Milan Community TV, canale YouTube dell’omonimo portale a tinte rossonere.

Di seguito tutte le dichiarazioni di Ambrosini, che si racconta a tutto tondo:

“Dietro ogni calciatore si nasconde una professionalità, un’anima, un modo di vivere la professione e la vita. Io ho fatto un periodo in cui mi ero un po’ incastrato a pensieri e tante cose che passavano per la testa e che non rendevano libero il mio corpo e la mia mente per fare quello che dovevo fare. È stato un momento complicato da gestire. Ma ora sto vedendo che dal punto di vista della comunicazione si sta un po’ sdoganando il fatto che anche i calciatori abbiano un animo e una sensibilità che li porta a doversi confrontare con tematiche psicologiche non sempre semplici, cosa che tutto il mondo ha ma che nell’immaginario collettivo il calciatore è sempre quello visto con la corazza inscalfibile quando non è assolutamente così”.

Ora i calciatori hanno molte più opportunità nel “post carriera”:

“Sì, ognuno sceglie di legarsi a determinate iniziative. Quella è una traiettoria di vita che ognuno sceglie di seguire in base a quelle che sono state poi le proprie esperienze”.

Di quello che fai tutti i giorni qual è la cosa che ti diverte di più?

“Accompagnare mio figlio piccolo all’asilo (ride, ndr)”.

Quando vedi un telegiornale negli ultimi mesi sei un po’ preoccupato per i tuoi figli?

“Sì, ma non mi serve tanto guardare il telegiornale per essere preoccupato per i miei figli. Il telegiornale trasmette l’apice di problematiche che per quanto riguarda i ragazzi di adesso hanno un sottofondo davvero complicato. La preoccupazione quindi nasce dal vedere le facce di questi ragazzi, il modo in cui vivono, la quotidianità, le loro aspettative, il loro rapporto con gli insuccessi e le prospettive: quello mi preoccupa e mi spaventa al di la di quello che si vede e si sente quotidianamente”.

Complimenti per il grande coraggio con cui, insieme a tua moglie Paola, hai affrontato, con coraggio e apertura, il problema di Alessandro, il vostro ultimo genito. Avete scelto la via più intelligente per parlare del diabete di tipo 1, creando una situazione non di allarmismo ma di normalità apparente…

“Quando uno attraversa un’esperienza come quella nostra ci sono svariati modi di reagire alla malattia… Non so se esiste un modo più giusto o meno giusto, di sicuro ognuno di noi si crea un modo per sopravvivere ad un evento che non avresti mai voluto, e quindi il nostro modo è stato quello di provare a tranquillizzare il nostro nucleo familiare. È una reazione interna di chi vuole vivere in un certo modo. La reazione esterna è stata determinata dalla consapevolezza della posizione in cui eravamo ci metteva nelle condizioni di poter essere una cassa di risonanza importante per tante altre persone che erano nella nostra situazione. Come ben sai la sensazione di solitudine è quella che andava arginata. All’inizio è stata anche una liberazione, un modo forse per liberarti da un peso, poi con la consapevolezza che con una parola avevi aiutato tante persone. È una malattia che, fortunatamente mi verrebbe da dire, è poco conosciuta”.

La condivisione come uno dei valori alla base della tua vita:

“Considera che ognuno di noi da un valore alla condivisione, io ho avuto la fortuna di trovare una moglie che come me ha piacere nell’idea di condividere cose con persone. La conseguenza è un fatto che questa condivisione l’ho principalmente concentrata sugli amici, che danno valore a quello che fai. Io penso che ognuno di noi decida di vivere nel modo in cui sta bene. Il nostro è questo, non penso che sia meglio o peggio di altri. Però una cosa posso dirla, che secondo me è importante trasmettere ai propri figli questa cosa, questo valore. La condivisione è un valore che va insegnato, poi ognuno ne fa l’uso che ne vuole. Però è bello far capire quanto tu ricevi indietro da una condivisione, familiare e con gli amici. C’è una condivisione nell’amicizia e nella spensieratezza, ma anche nella difficoltà. È un po' il rovescio della medaglia e noi ne siamo testimoni. È un modo per ricevere, un’ancora a cui attaccarsi quando si è in difficoltà”.

Come reagisci ai tradimenti e alle delusioni?

“Io ho avuto la capacità e la fortuna di riuscire un po’ ad inquadrare le persone e non alzare le aspettative di un rapporto sempre e comunque. Penso di essere abbastanza in grado di capire, all’interno di una socialità diffusa, dove può e non può arrivare una conoscenza o un’amicizia: mi sono sempre preservato dalle delusioni in questo senso qua”.

Nel calcio non sopporto più due cose: chi ad un minimo sfioramento si butta giù ed il regolamento, non ci si capisce più nulla… Una tua soluzione o un consiglio?

“Sono due cose un po’ collegate secondo me. L’intolleranza che tu lamenti ce l’ho anch’io. Quando si protegge palla, se si viene sfiorati da un’unghia si cade per terra come se si fosse subito un cazzotto da KO. Bisognerebbe mettersi d’accordo sul fatto che questa cosa si può limitare se diamo agli arbitri la possibilità di scegliere e decidere chiedendogli di interpretare un senso calcistico. Che loro magari possono non avere non essendo stati calciatori, ci sono però alcune dinamiche calcistiche che se conosci e interpreti possono impedirti di fischiare cose che adesso vengono fischiate. Non troveremo mai una soluzione sul fatto che le regole del calcio tendono a voler oggettivizzare qualunque tipo di situazione: pensano che mettendo paletti fissi ci siano meno discussioni. Abbiamo visto che non è così, l’ultimo turno di campionato ne è una riprova. Serve quell’interpretazione calcistica che in questo momento all’arbitro non è richiesta. Se la rimettessimo il rigore di Luperto, nell’ultimo turno di Serie A, non lo fischi mai. Però nel regolamento c’è scritto quello e quindi ti incarti, ma se ti fischiano un rigore così contro diventi matto. La stessa cosa per due dei tre rigori fischiati in Fiorentina-Milan: dal punto di vista calcistico non hanno niente di calcistico. Se reintroduci la possibilità per l’arbitro di interpretare quello che avviene in campo succede che ci sarà ancora più casino. Se decidiamo che l’arbitro può interpretare e valutare, anche con l’ausilio del VAR, un determinato intervento a sua discrezione, a quel punto lì dobbiamo prenderci il fatto che possano esserci delle valutazioni ancora più soggettive di quelle che ci sono ora. È un bilanciamento complicato. Dal punto di vista sportivo e calcistico il rigore di Theo su Dodò non è mai rigore, anche se a livello di regolamento lo è. Così come per me non è mai rigore nemmeno quello su Reijnders: è un contatto, non è rigore. Non sono rigori. Se fossi andato ad arbitrare non li avrei mai fischiati. Con i regolamenti scritti ora possiamo arbitrare anche io e te, tanto non c’è da interpretare niente”.

L’annosa questione dei calendari, Ancelotti la spiega seriamente visto che lui non ha bisogno di aggrapparsi agli alibi. Perché non esiste un’occasione, non dico un congresso, annuale dove a bocce ferme si radunano dirigenti, allenatori e capitani e parlano con la UEFA o la Fifa per discutere di queste cose. Il calendario sta diventando un grosso problema…

“Non si metteranno mai seduti, UEFA e Fifa e gli altri club. Tutti hanno bisogno di soldi, sono tutti perfettamente consapevoli che siamo arrivati al limite. Finché hai società indebitate che creano una Superlega perché hanno bisogno di soldi… Non possono sedersi è dire che dovrebbero giocare di meno perché hanno bisogno di soldi. Si stanno ancora creando tornei, l’unico modo per creare soldi è creare partite. O si mettono d’accordo le società per abbassare i costi come il monte ingaggi, così i giocatori possono giocare un po’ di meno. Si devono sedere al tavolo anche i calciatori”.

Una domanda per l’opinionista: i tifosi ti si rivoltano contro quando qualcosa non funziona…

“Io ho fatto fatica a gestire questa cosa nei primi anni in cui avevo smesso. Così come il tifoso si sentiva tradito da me io mi sentivo tradito da chi mi valutava per qualche commento. Tu sai quanto io sia stato legato al Milan e quanto questa società abbia rappresentato non una parte del mio lavoro, ma della mia vita. Non posso cancellare quello che per me è stato un amore folle per i commenti di qualche tifoso se dico che il Milan ad esempio ha giocato male. All’inizio ho fatto un po’ fatica a gestire questa cosa, ora ci ho fatto il callo. Non penso che valutare una prestazione possa mettere in discussione 20 anni che ho dato a quella società. Mi spiace umanamente, magari molti quelli che scrivono non sanno nemmeno qual è stata la mia storia con questo club e quanto per me abbia significato tutto quello che ho dato e ricevuto”.

Il ritrovato entusiasmo per la Nazionale dopo la delusione dell’Europeo:

“Il cambiamento repentino è stato quasi inaspettato. Siamo una squadra giovane con un allenatore intelligente. Abbiamo energia e qualità anche dove pensavo di non averne. Ricci è un giocatore interessante, Sandro (Tonali, ndr) lo abbiamo riscoperto ma sapevamo che tipo di giocatore fosse. Nelle ultime partite non abbiamo avuto Barella, che è il nostro miglior centrocampista. Abbiamo trovato un attaccante che è Retegui, un po’ sottovalutato da tutti. È una squadra giovane e che ha entusiasmo. Anche dietro siamo completi. Non siamo cambiati dall’oggi al domani e siamo diventati il Brasile degli anni ’70, però ora diamo quella sensazione che tu hai descritto bene”.

Parliamo di Milan. Tu sei stato capitano. Non so come interpretare questa specie di riffa della fascia…

“A me non piace. Si dice molte volte che in una squadra ci sono molti capitani, ed è vero. Ma la fascia deve avercela uno. Gli altri continuano ad essere capitani senza che la fascia giri; a me piace che la fascia sia di uno e sia riconosciuto, che ci siano gerarchie precise”.

L’altro giorno mi hanno fermato per strada due ragazzi e mi hanno chiesto: “Come se ne esce da questa situazione?”. Ti giro la domanda. Quello che accade sul campo poi alimenta critiche alla squadra, all’allenatore, ai giocatori, alla dirigenza. Sembra che tutto sia sbagliato, tutto da rifare. Come se ne può uscire da questo rendimento altalenante?

“Delle cose che mi hai detto quella che mi convince di più è che la squadra sia forte. Continuo a dirlo dall’inizio dell’anno, secondo me è una squadra costruita con dei giocatori forti. Se ne esce avendo la percezione che il mercato di ha portato giocatori di livello. Vanno assemblati meglio di come sono stati assemblati fino adesso e va trovata una chiave per far sì che questi giocatori, che secondo me rimangono forti, possano avere un atteggiamento emotivo diverso nell’arco della partita e delle partite, che riescano a giocare un po’ più assieme, che diano un po’ con un po’ più di continuità l’idea di essere una squadra cazzuta, cosa che fino adesso è stata troppe poche volte”.

Ottimista o perplesso?

“Sono un po’ perplesso perché sulla base di quello che ti ho detto si sia fatta un po’ troppa fatica per trovare un’unione di squadra. Le partite del Milan troppe volte mi hanno dato la sensazione di vedere una squadra che ha giocatori forti, ma non di essere una squadra forte. Lasciando stare il derby che è stata una partita di livello, non mi ha mai dato la sensazione di essere una squadra che entri in campo e dica “Oggi non ce n’è per nessuno perché siamo forti”. Capito? È una squadra che può farla quella cosa lì, i giocatori sono forti. Però tra avere individualità forti e avere un’unione che ti rende una squadra che va in campo e poi dice che non ce n’è per nessuno… Quest’anno il Milan me l’ha data poche volte quella sensazione”.