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tmw / juventus / Editoriale
Il deserto bianconero senza oasiTUTTO mercato WEB
ieri alle 23:59Editoriale
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

Il deserto bianconero senza oasi

«Chi è più saggio? Colui che accetta tutto o colui che ha deciso di non accettare nulla? La rassegnazione è saggezza?» Eugène Ionesco

La Juventus, programmata non si comprende ancora per quale fine temporale e sostanziale, affetta cronicamente da pareggite, rinnovata purtroppo e modificata nella codificazione delle sue informazioni genetiche, ma con la pancia piena di leccornie natalizie, si è incamminata verso il deserto arabico, nella speranza di trovare un nuovo inizio vincente, finalmente uno spartiacque importante per la stagione e per l’avvenire, un’oasi che rifocillasse una buona volta la Vecchia Signora malata di “nonjuventinità”. Soltanto ossa ingiallite di quella che fu, sono state rinvenute, insabbiate in un arido deserto bianconero, difficile da superare per uscire indenni, sani e salvi. Caro Motta, nonostante il cognome dolciariamente natalizio, se non sei ossessionato dalla vittoria, forse sarebbe stato meglio non mangiare il panettone a Torino. Ossessione della vittoria non è un qualcosa di negativo, di patologico: è pretendere da se stessi il massimo, anche qualcosa in più, per raggiungere ciò che la Juventus ha sempre conquistato, facendone il suo sinonimo: la vittoria.  

Erodoto raccontò di come i Persiani, partiti da Tebe, si fossero inoltrati nel deserto: la sabbia nefasta non ebbe pietà di quei soldati. D'un tratto spirò un vento terribile, impetuoso; immensi vortici di polvere si alzarono all’orizzonte, avanzando, circondandoli. E in quel turbinare di sabbia, I’esercito persiano scomparve, per sempre. Oggi il deserto è bianconero perché ha avvolto l’anima della Juventus, non soltanto la singola partita di calcio. 

«Ciò che fa bello il deserto», disse il Piccolo principe, «è che da qualche parte nasconde un pozzo...». Aveva ragione, ovvio. Il deserto è così, lo sanno i nomadi che lo attraversano lentamente e gli aviatori che ci cascano per caso, e lo sapeva benissimo Antoine de Saint-Exupéry. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla e tuttavia qualcosa risplende in silenzio. È la speranza dell'oasi, insomma, che sembra quasi dar senso a tutto quel vuoto. L'orizzonte infinito delle dune, il dondolio dei cammelli, la sabbia impalpabile che si muove come spinta da invisibili correnti. E poco a poco un'idea di acqua si forma negli occhi nella bocca assetata. Persino i miraggi lo ricordano incessantemente: ampi specchi di acque calme che appaiono improvvisi all’orizzonte, addentrandosi in baie sinuose e promontori irreali. Già, oggi come oggi, che tristezza, guardare una Juventus trionfante, un pietoso miraggio che rende il vivere possibile mentre sospende le vite, avrebbe raccontato in versi Emily Dickinson.

In tutto il libro, il piccolo principe neanche la pronuncia quella parola, oasi, ma tra le righe tutti noi la riconosciamo. E pensiamo forse che in essa vi sia qualcosa di immutabile, di inevitabile e geologico. Le oasi sono isole in un mare di desolazione e a entrarci ti salvano la vita. Così come le isole danno un rifugio ai marinai, allo stesso modo le oasi accolgono i nomadi in cammino sulle piste desertiche. Come le isole orientano la navigazione, così le oasi sono le tappe necessarie delle grandi vie di comunicazione desertiche. L'isola, il giardino. L'oasi è il riaffiorare dell'acqua nel deserto: una sorta di miraggio che si avvera. Le polle, le pozze, talvolta gli autentici laghi formati dalla loro sorgente, sono un urlo di vita in mezzo al silenzio infinito della sabbia.

Con un’avvertenza, però: in quella parola, oasi, finiamo troppo spesso per vedere il semplice fatto geologico, l'acqua, il pozzo, la buona sorte, il destino già scritto. Dimenticando gli uomini, i villaggi, i mercati, gli scambi e le guerre che da sempre hanno animato quei mondi, dimenticando cioè che i paesaggi delle oasi si sono forgiati nel lavoro congiunto di tante cose diverse: di sabbia, vento e acqua, ma anche e soprattutto di sforzi, obiettivi e sogni di uomini che hanno creduto in qualcosa per cui vale la pena continuare a vivere. Sono questi ultimi che mancano alla Juventus, e fino a quando sarà così, potremmo solo imbatterci, come avrebbe detto Baudelaire, in un’oasi d’orrore in un deserto di noia!

Roberto De Frede