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Il segreto di Juventus-Napoli, nonostante tutto…TUTTO mercato WEB
Oggi alle 00:01Editoriale
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

Il segreto di Juventus-Napoli, nonostante tutto…

È afflitto da un complesso di parità, non si sente inferiore a nessuno… (Ennio Flaiano)

Un minuto di silenzio in campo, armonizzato dagli applausi e ferito da bestie, la Juventus con la nefasta tristezza al braccio, occhi lucidi ovunque per un uomo del Sud che con la sua forza genuina, istintiva, sanguigna inseguiva da bambino nei vicoli palermitani del quartiere del Capo una palla di stracci trasformandola in un sogno. Schillaci, un cacciatore di gol: le sue pupille da predatore danzano in alto, in basso, a destra, a sinistra, si proiettano in direzioni oblique. Continuamente. Una sola idea in testa, come nei poeti o nei grandi romanzieri indagatori. Follia sì, follia sublime, divina. Questo era il centrattacco Totò, colui che nella zona centrale del campo inventava soluzioni inattese, rapide, folgoranti, movimenti che erano prodigi di vivacità e intelligenza. Il suo gol più bello: regalare la speranza di una vita migliore ai ragazzi che come lui provenivano dalla gavetta. Ha onorato la casacca bianconera e quella azzurra dell’Italia degli anni Novanta, èra geologica in cui i centravanti arrivavano nella nostra penisola già cigni reali da terre straniere ed erano i più forti del mondo. Totò è stato unico: da brutto anatroccolo con occhi spiritati, discepolo della strada a poeta, cantore di gioia luminosa per ognuno di noi. L’Italia non vinse quel mondiale, ma grazie a lui noi tutti stiamo ancora sognando quelle notti magiche, bramando di riviverle tali e quali a quelle che furono, anche senza coppa tra le mani. Grazie a Totò, mito divenuto leggenda, quel mondiale lo stiamo ancora giocando, come solo un poeta saprebbe far durare all’infinito con un solo esametro un’aurora dorata di un’estate italiana.

Juventus-Napoli, un derby sui generis, capovolto: mondi opposti consegnano ad una partita di calcio la stessa importanza di una stracittadina. Si gioca allo stadio, ma anche in spiaggia, per strada, nei bar, nell’anima ove si rivivono contemporaneamente tutte le sfida di una vita. Un’avventura capace di rendere una realtà prosaicamente uniforme suscettibile di capovolgimenti imprevedibili, di svolte impensabili, di inattesi mutamenti di orizzonti. Grande e libera, conquista l’ignoto e l’immaginario, allarga il cuore, cavalca glorie, disarciona sconfitte. Un’avventura che si continua a vivere anche al di fuori dei luoghi deputati, poiché essa, onnipresente e inamovibile, o meglio, irremovibile, occupa la scena del teatro del calcio, è il teatro del calcio, della vita. Questa partita è tutto questo, è contagiosa anche per i vaccinati al tifo. Impossibile sottrarvisi. Il più strenuo oppositore è destinato prima o poi, proprio per la natura stessa dell’oggetto inviso, a capitolare: come quell’omino che assediato su un affollatissimo autobus da scatenati tifosi, finisce coinvolto nel delirio di canti e olè, di vessilli e trombette, in un processo rapidissimo di conversione dall’avversione astiosa, apparentemente asettica, alla più sfrenata complicità. Corpi, volti, gesti. Tecniche e tattiche. Sudore ed eleganza. Trionfi e sconfitte. Sfide, cimenti, imprese, riscatti, ribellioni, tradimenti. Onore e vergogna. Campioni e gregari. Maestri e allievi. Memoria e sogno. Il calcio, con Juventus-Napoli offre un contributo essenziale alla letteratura, divenendo essa stessa letteratura: riempie il calcio di parole e di nomi, trasformandolo in racconto, poesia, storia, epica e leggenda. Che il calcio sia subalterno a questa sfida o viceversa è questione poco interessante, come chiedersi se sia la realtà a nutrire la letteratura o la letteratura a reinventare la realtà.

Nonostante tutto, tutto questo il tifoso di ieri pomeriggio, me compreso, lo ha sentito nelle vene in ogni secondo scandito dal cronometro, ecco il segreto recondito di Juventus-Napoli, ma non lo vede più in campo, come invece la storia ci aveva abituato. Un dolce e affascinante segreto che però non dà punti per far muovere la classifica.

Purtroppo, quel “nonostante tutto” sta decisamente diventando pericoloso. Oggi la paura di perdere è tale che si comincia la partita già col terrore di veder modificato il risultato sul tabellone. È lo spirito dello stallo, scriveva Dimitrijevic, la spartizione della posta in gioco provocata dall’asfissia. Il calcio come gli scacchi. Le regine e gli alfieri, le torri e i cavalli possono tornare da un Medioevo passato e giostrare sul prato, ma la sola cosa che conta è la condanna a morte del re, lo scacco matto. E lo scacco matto nel calcio si chiama gol. Tutto il resto diventa inutile ostentazione. Fino a quando la Juventus non metterà la palla in rete tutto il lavoro passato a bucherellare il prato con le scarpe bullonate sarà inutile, perché con la regola dei tre punti, i tre pareggi fatti consecutivi a reti inviolate equivalgono a una “vittoria” e ben due “sconfitte”, troppo poco, pochissimo per qualsiasi obiettivo finale.

L’ultimo giorno d’estate ha fatto capire che l’autunno è alle porte e senza un attacco degno di coloro che resero leggendaria la prima linea bianconera, addirittura preferendo sostituire il centravanti titolare con un calciatore (seppur volenteroso!) che ha solo il cognome di un bomber (papà George!), non posso che concludere con i primi versi tratti dalla poesia "Canzone d'autunno" di Paul Verlaine: I lunghi singulti /dei violini / d'autunno / mi lacerano il cuore / d'un languore / monotono.

Roberto De Frede