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Un nuovo campione del centrocampo strappato all’InterTUTTO mercato WEB
domenica 7 luglio 2024, 22:27Editoriale
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

Un nuovo campione del centrocampo strappato all’Inter

Quando si grida è indifferente quale parola si vesta del grido, lo sfogo si trova nell'emissione di voce. (Italo Svevo)

Prosegue lento pede il calciomercato, con la vetrina europea illuminata a corrente alternata. Douglas Luiz, quasi certamente Khephren Thuram e probabilmente un “Koopmeiners” di turno, sperando nell’originale. Insomma appare evidente che il fulcro del gioco, il centrocampo bianconero, da anni martoriato da acquisti da bancarella, infortuni fisici e “comportamentali”, possa risalire il livello e affacciarsi verso orizzonti sino ad oggi pressoché irraggiungibili.

Il primo, seppur piccolo, passo verso la concezione moderna di calciomercato fu percorso dalla Juventus, qualche decennio fa, acquistando un ragazzo toscano di 21 anni, che aveva attirato l’attenzione di diversi club, tra cui l’Inter di Ivanoe Fraizzoli, che lo voleva a tutti i costi e, credendo di sbaragliare la concorrenza, trovò un accordo con il Como, disposto a cedere il centrocampista - magro come un grissino - per 700 milioni di lire, cifra mostruosa per l’epoca. Giampiero Boniperti, non perse tempo dopo averlo visto giocare. Detto, fatto. La Juventus sborsò 950 milioni, l’accordo tra il Como e l’Inter venne accantonato e il ragazzo approdò a Torino. Per i giornali dell’epoca - tranquillamente soprassedendo a quel gap di appena 50 milioni - il giovane di Careggine divenne “Mister un miliardo”.

Era il 1975. A Monte Carlo la Ferrari dopo vent'anni torna a vincere il Gran Premio con Niki Lauda alla guida della "312T"; in Italia con la legge 151/75 viene riformato il diritto di famiglia sancendo la parità giuridica fra coniugi, attribuendo ad entrambi la patria potestà, eliminando l'istituto della dote, riconoscendo i figli nati fuori dal matrimonio e introducendo la comunione dei beni; con il secondo posto nel GP delle Repubblica Ceca a Brno, Giacomo Agostini in sella alla Yamaha YZR500 0W23 4 cilindri 2 tempi conquistava il suo 15° titolo mondiale; i Queen pubblicano il singolo Bohemian Rhapsody, ma probabilmente per il ragazzo del centrocampo bianconero la canzone che più gli si addice sarà pubblicata dal gruppo  londinese un paio d’anni dopo, nel 1977: We Are the Champions.

                                   MARCO TARDELLI

L’8 volante. Questo numero, disteso, si trasforma magicamente nel simbolo dell’infinito, come senza fine era il suo ardore agonistico in campo. Un ragazzo dal viso scarno, esaltato da una perenne inquietudine che ardeva negli occhi: fulmini che illuminavano i confini da valicare, cavalcando verso i trionfi più splendenti. Definirlo semplicemente un interno destro o una mezzala, uno scattista o un incontrista, seppur tra i migliori al mondo, sarebbe riduttivo. È stato, a cavallo degli anni Settanta e Ottanta, il calciatore italiano più “olandese” di tutti, interpretando con naturalezza alla perfezione la lectio del calcio totale, che aveva reso grande l’Ajax e l’Arancia Meccanica di Cruijff e Neeskens. Primo vero giocatore box-to-box, mai visto stare fermo per più di cinque secondi.

Un moto perpetuo, giocatore ambidestro, completo e continuo, l’universale del centrocampo. Partiva come un treno al primo minuto e non si fermava più fino al novantesimo, con intuizioni repentine anche nei movimenti senza palla. Era solito avanzare a testa alta, schizzando da una parte all’altra, e l’avversario era costretto a rincorrerlo senza acciuffarlo mai, proprio come un imprendibile schizzo d’acqua. Il suo era un ruolo allo stesso tempo romantico, avventuroso e piratesco: sradicava palloni ai nemici, restituendoli confezionati al bacio ai compagni. I suoi inserimenti perfetti e geometrici erano metafora di una lama silenziosa e affilatissima che si infilava delicatamente nelle linee nemiche, trafiggendo al cuore gli avversari, lasciandoli tramortiti. Con la sfera tra i piedi accennava qualche finta, poi faceva sempre il passaggio giusto al momento propizio e quando puntava il cannone verso la porta avversaria la bordata si tramutava in splendidi gol. Apparentemente freddo, era sensibilissimo anche ai segnali più impercettibili di compagni e avversari. La sua immensa classe gli permetteva di navigare sicuro tra le acque agitate del centrocampo, prendendo la squadra per mano nei momenti più delicati. L’homo novus del calcio italiano comincia da terzino, apprendendo l’importanza non solo della velocità, ma anche della rapidità di cambiare marcia.

Schizzo, così soprannominato, nasce in Garfagnana, a Capanne di Careggine in provincia di Lucca, il 24 settembre del 1954. Dopo i primi calci in tornei minori, ecco che i dirigenti del Pisa nel ’72 notano quel ragazzino smilzo che volava per tutto il campo. Rimane due anni sotto la torre pendente in serie C, prima di passare al Como in B. Qualche dirigente pisano, che non doveva essere una lince, pensa d’aver fatto un affare lasciando ai comaschi quel terzino così mingherlino che difficilmente avrebbe avuto il fisico per fare strada. Con i lariani gioca una stagione, e nel ’75 viene acquistato dalla Juventus per quasi un miliardo di lire, voluto fortemente dal presidente Boniperti. Il mister Carlo Parola – autore nel 1950 della celeberrima rovesciata immortalata sulle figurine Panini – lo fa esordire come difensore esterno il 27 agosto, nella gara vittoriosa di Coppa Italia contro il Taranto.

Sarà un altro pezzo di storia del calcio italiano a garantirne l’evoluzione tattica: Giovanni Trapattoni. Lo osserva in modo attento e vede in prospettiva; poco alla volta Tardelli diventa il centrocampista. Uno di quelli che ti sfiancano, che non ti fanno respirare e che sanno far ripartire l’azione come soltanto un interditore intelligente dai piedi vellutati potrebbe fare. Fu quella del ’77 un’annata eccezionale: la Juventus vince lo scudetto dei record con 51 punti e la Coppa Uefa, nella cui finale d’andata Tardelli segna con un tuffo di testa il gol partita contro l’Atletico Bilbao. Una Juve formidabile, tutta italiana, con Furino, Benetti e Tardelli a formare un centrocampo d’acciaio; Scirea, Morini, Cuccureddu e Gentile per una difesa elegante e propulsiva; Zoff tra i pali e il multiforme attacco composto da Causio, Boninsegna e Bettega. Tardelli indossa la casacca a strisce bianconere per dieci stagioni, vantando 259 presenze, impreziosite da 34 gol, vincendo cinque scudetti, due Coppe Italia, una Coppa dei Campioni, una Coppa Uefa, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea.

Con i suoi guizzi felini, attraverso gol pazzeschi e irresistibili, diviene perno insostituibile della Nazionale bearzottiana: vi gioca 81 volte, realizzando sei gol, di cui almeno tre da raccontare alle generazioni che verranno. Fulcro di quel contropiede manovrato, debutta come terzino destro il 7 aprile del ’76 in una amichevole vinta per 3 a 1 sul Portogallo: dall’incontro successivo diviene l’uomo del centrocampo azzurro.  È stato tra i protagonisti della brillante e giovane spedizione italiana nel mondiale d’Argentina nel ’78. Storico il suo gol all’Europeo dell’80, col quale l’Italia sconfigge la perfida Albione per la seconda volta in una gara ufficiale: assist di Ciccio Graziani che mette dalla sinistra, in mezzo all’area di rigore, un cross sul quale si avventa felinamente Tardelli, mettendo la palla alle spalle del portiere inglese Shilton.  Si consacra leggenda immortale in Spagna, nel trionfale Campionato del Mondo del 1982. Tardelli in terra ispanica: un gladiatore grintoso, un calciatore talentuoso, un uomo permaloso, schietto e lucido. Sette partite, sette capolavori giocati con prestazioni che andarono oltre i confini della realtà, corredati da due brillanti. Il primo contro l’Argentina, una rasoiata di sinistro terminata alle spalle di Fillol, regalando così a Maradona e soci il biglietto di ritorno per Buenos Aires.

L’altro… beh l’altro è incastonato nell’icona più splendente della storia del calcio del secolo scorso: minuto sessantanove di quella partita che tutti sperano un giorno di giocare, la finale mondiale. Nell’area della Germania Ovest, sulla destra, uno-due fra Scirea e Bergomi. Il libero azzurro vede Tardelli a ridosso dell’area teutonica; gli passa il pallone. Lui lo stoppa di destro, se lo mette sul sinistro e scivolando calcia un missile terra-aria verso Schumacher, il portiere assassino, battendolo. Dopo la rete, l’esultanza che, a distanza di quarant’anni, fa ancora nascere in noi gli stessi brividi di quell’attimo dell’11 luglio del 1982.

Nella nostra storia recente si ricordano tre urli. Quello dipinto a fine ottocento dal norvegese Munch, per gridare la difficoltà esistenziale nel mondo moderno. Quello scritto nel 1955 dal poeta statunitense Ginsberg, per attaccare il conformismo americano dell’epoca. E poi c’è l’urlo, quello straurlato e imprendibile di Tardelli, durato 8 secondi, numero che ritorna prepotente nella sua vita: voce dell’Italia finalmente unita e campione del mondo, la passione di un popolo, per tradizione capace di compattarsi nei momenti più difficili. L’espressione perfetta della gioia di chi sa di aver cambiato per sempre la propria vita, e non solo, mettendo una firma indelebile sul libro di storia, nel capitolo dedicato alle imprese leggendarie.

Lascia la Juventus nell’85, dopo aver giocato per anni in una squadra invincibile, quella dei sei campioni del mondo, più due signori del calibro di Michel Platini e Zibì Boniek. Passa all’Inter, senza voglia e convinzione: del biennio nerazzurro lo si ricorda per una doppietta al Real Madrid. Chiude nell’88 la sua carriera in Svizzera, nel San Gallo. Come CT è medaglia d’oro con l’Italia Under 23 ai Giochi del Mediterraneo di Bari nel ’97, e campione d’Europa con la Nazionale Under 21 nel 2000. Marco Tardelli, una stella del firmamento bianconero e del calcio mondiale.

Roberto De Frede

P.S. Che i nuovi acquisti di questa stagione possano in seguito far ricordare, anche solo in parte, i “miei acquisti” di queste domeniche estive!

Tratto da "Ritratti in bianconero" di Roberto De Frede - https://www.amazon.it/dp/B092PKRN38?ref