
Roma sogna l’Europa, l’Inter cerca l'allungo: benvenuti nel finale di stagione
Metti una serata a San Siro. Non una qualunque. No, qui c’è odore di decisioni che pesano, punti che contano per la lotta scudetto e la lotta per un posto in Europa. L’Inter corre (letteralmente) verso tutto: uno Scudetto che non può permettersi di perdere di vista, una semifinale di Champions che sa di Everest, e un calendario che somiglia più a un Tetris impazzito che a una stagione di calcio.
In mezzo a questa centrifuga c’è una partita con la Roma. Che non è mai solo “una partita con la Roma”. È una sfida che arriva nel momento più complicato, con un’Inter stanca, acciaccata e pure un po’ nervosa. Thuram fuori, Zielinski ai box, Dumfries che non si regge. Eppure ci sono sempre loro: Lautaro che trascina anche quando ha finito la benzina e un centrocampo che sembra uscito da un laboratorio alchemico – mescoli Barella, Calhanoglu, Frattesi e ti viene fuori qualcosa che somiglia alla poesia… ma con i parastinchi.
A sinistra Dimarco fa il Dimarco — cioè quello che corre, spinge, crossa, torna e fa tutto con quella faccia da ragazzino che si è appena reso conto di essere diventato fondamentale. A destra si barcolla un po’ di più: Dumfries e Darmian sono la classica coppia in cui uno è troppo istintivo e l’altro troppo prudente. Un equilibrio instabile.
E dietro? Dietro si tira avanti. Acerbi e Bastoni tengono su la baracca quando possono (ma Bastoni è squalificato), Pavard e Bisseck si alternano come due comparse che sperano in un primo piano. Il problema è che con tutti questi impegni, la difesa dell’Inter sembra più un esperimento sociologico che un reparto compatto.
Dall’altra parte la Roma arriva con il fiuto di chi sente odore d’Europa, magari non da Champions, ma comunque roba buona. Per loro ogni punto è un passo verso il continente che conta. E in partite così, anche se arrivi da fuori, vuoi lasciare il segno.
Quindi no, non è solo una partita. È una di quelle serate in cui una squadra cerca di non crollare e l’altra di aggrapparsi al treno giusto. Con il pubblico che lo sa, lo sente. E allora urla, spinge, spera. Perché in fondo, in questa corsa sfrenata di fine stagione, anche il fiato può fare la differenza.
In mezzo a questa centrifuga c’è una partita con la Roma. Che non è mai solo “una partita con la Roma”. È una sfida che arriva nel momento più complicato, con un’Inter stanca, acciaccata e pure un po’ nervosa. Thuram fuori, Zielinski ai box, Dumfries che non si regge. Eppure ci sono sempre loro: Lautaro che trascina anche quando ha finito la benzina e un centrocampo che sembra uscito da un laboratorio alchemico – mescoli Barella, Calhanoglu, Frattesi e ti viene fuori qualcosa che somiglia alla poesia… ma con i parastinchi.
A sinistra Dimarco fa il Dimarco — cioè quello che corre, spinge, crossa, torna e fa tutto con quella faccia da ragazzino che si è appena reso conto di essere diventato fondamentale. A destra si barcolla un po’ di più: Dumfries e Darmian sono la classica coppia in cui uno è troppo istintivo e l’altro troppo prudente. Un equilibrio instabile.
E dietro? Dietro si tira avanti. Acerbi e Bastoni tengono su la baracca quando possono (ma Bastoni è squalificato), Pavard e Bisseck si alternano come due comparse che sperano in un primo piano. Il problema è che con tutti questi impegni, la difesa dell’Inter sembra più un esperimento sociologico che un reparto compatto.
Dall’altra parte la Roma arriva con il fiuto di chi sente odore d’Europa, magari non da Champions, ma comunque roba buona. Per loro ogni punto è un passo verso il continente che conta. E in partite così, anche se arrivi da fuori, vuoi lasciare il segno.
Quindi no, non è solo una partita. È una di quelle serate in cui una squadra cerca di non crollare e l’altra di aggrapparsi al treno giusto. Con il pubblico che lo sa, lo sente. E allora urla, spinge, spera. Perché in fondo, in questa corsa sfrenata di fine stagione, anche il fiato può fare la differenza.
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