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Inter, a Milano torna Conte: Inzaghi, l'eterno confronto e la rendita che non c'è
L'ultima volta che Antonio Conte ha sfidato l'Inter era il 2 febbraio 2014: 3-1 della sua Juventus. Un'era geologica fa, anche di più, quando sembrava impossibile che l'ex capitano bianconero diventasse poi allenatore nerazzurro. Per la cronaca, contro la Beneamata il salentino non ha mai perso: quattro vittorie e due pareggi.
A dargli un dispiacere, ci proverà Simone Inzaghi, che proprio da Conte ha ereditato la panchina interista. Anche per quell'affinità di modulo che sembrava poter rendere più gestibile la transizione. Da lì in poi, il confronto è stato inevitabile. Specie, va detto, quando le cose all'Inter non sono andate bene: a Inzaghi viene o veniva rinfacciata più spesso la rendita, e molto meno i progressi registrati dal suo approdo a Milano.
Chi viene dopo Conte, e questo è un dato abbastanza oggettivo, raramente fa male. Ventura a Bari o Allegri a Torino gli esempi più lampanti. Proprio Max, come Simone, ha dovuto convivere con anni col predecessore. Come se la Juventus delle due finali Champions fosse la stessa di Antonio. Come se l'Inter della seconda stella o di Istanbul avesse così tanto in comune con quella di Conte.
Che Inzaghi ancora oggi viva di rendita, in tutta franchezza, possono pensarlo solo i pochi rimasti critici nei suoi confronti. Un conto è ricordare la capacità di Conte di lasciare qualcosa, altro sottovalutare il lavoro di chi viene dopo. E che si è dovuto confrontare proprio con quello che l'attuale allenatore del Napoli ha voluto evitare. I mercati a zero o in positivo, le cessioni, la continua rifondazione di una squadra: questa è stata, con qualche differenza solo nell'ultima estate, l'Inter di Inzaghi.
Dei giocatori del 2020-2021, l'anno dello scudetto contiano, ne restano del resto solo cinque: De Vrij, Lautaro, Barella, Darmian, Bastoni. Tutti forti e importanti anche oggi, ma cinque su ventitré. E neanche tutti allo stesso livello: Lautaro segnava, ma da spalla (e pure sparring partner sul ring); Barella e Bastoni erano prospetti, non campioni come sono diventati anche grazie al contributo di Inzaghi. La rendita, se mai c'è stata, oggi di sicuro non c'è più. E regalare a Conte il primo ko a tinte nerazzurre sarebbe, per Inzaghi, una discreta chiusura del cerchio.
Chi viene dopo Conte, e questo è un dato abbastanza oggettivo, raramente fa male. Ventura a Bari o Allegri a Torino gli esempi più lampanti. Proprio Max, come Simone, ha dovuto convivere con anni col predecessore. Come se la Juventus delle due finali Champions fosse la stessa di Antonio. Come se l'Inter della seconda stella o di Istanbul avesse così tanto in comune con quella di Conte.
Che Inzaghi ancora oggi viva di rendita, in tutta franchezza, possono pensarlo solo i pochi rimasti critici nei suoi confronti. Un conto è ricordare la capacità di Conte di lasciare qualcosa, altro sottovalutare il lavoro di chi viene dopo. E che si è dovuto confrontare proprio con quello che l'attuale allenatore del Napoli ha voluto evitare. I mercati a zero o in positivo, le cessioni, la continua rifondazione di una squadra: questa è stata, con qualche differenza solo nell'ultima estate, l'Inter di Inzaghi.
Dei giocatori del 2020-2021, l'anno dello scudetto contiano, ne restano del resto solo cinque: De Vrij, Lautaro, Barella, Darmian, Bastoni. Tutti forti e importanti anche oggi, ma cinque su ventitré. E neanche tutti allo stesso livello: Lautaro segnava, ma da spalla (e pure sparring partner sul ring); Barella e Bastoni erano prospetti, non campioni come sono diventati anche grazie al contributo di Inzaghi. La rendita, se mai c'è stata, oggi di sicuro non c'è più. E regalare a Conte il primo ko a tinte nerazzurre sarebbe, per Inzaghi, una discreta chiusura del cerchio.
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