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Dagli allenamenti con Drogba alla scoperta della C: Jacopo Sala si racconta
Oggi per un giovane talento del nostro calcio affrontare un'esperienza all'estero, anche semplicemente nel settore giovanile di un club, è una cosa abbastanza comune. Così, però, non era ad inizio anni 2000 e per la precisione nell'estate 2007 quando Jacopo Sala decise di lasciare l'Atalanta per accettare la sfida propostagli dal Chelsea di Roman Abramovic. "Quella che mi si prospettava davanti era l'occasione della vita - racconta il diretto interessato in esclusiva ai microfoni di TuttoMercatoWeb.com -. Che ho fatto con un po' di incoscienza, era un azzardo. Anche perché ero già in un vivaio di altissimo livello come quello della Dea. A Bergamo, però, non mi sentivo particolarmente considerato, perché al tempo si dava priorità ai talenti che venivano da fuori e non a quelli del territorio. Così ho deciso di dire sì al Chelsea e volare a Londra".
Che realtà ha trovato a Cobham?
"Qualcosa di incredibile. Specie se arrivavi dalle strutture che al tempo si potevano trovare nel nostro Paese. A differenza, poi, di quello che avevo vissuto con l'Atalanta, in Premier League non c'è separazione fra i calciatori della prima squadra e quelli delle giovanili. Si mangia insieme, ci si allena in contemporanea e hai una possibilità di confrontarti costantemente".
In più nello stesso periodo che ha vissuto lei ai Blues sulla panchina di Stamford Bridge sedeva un certo Carlo Ancelotti.
"Una persona incredibile oltre che un tecnico di altissimo profilo. Si tratta di un professionista unico che, però, lavora molto col cuore e che antepone sempre la persona al calciatore. Con lui ho vissuto le mie prime esperienze con i grandi".
Peccato non sia mai arrivato l'esordio in prima squadra
"Purtroppo mi sono infortunato nel momento sbagliato. Quell'esperienza, però, mi ha permesso di entrare in contatto anche con calciatori fenomenali come Didier Drogba che ricordo per la sua disponibilità verso i giovani come me e lo stesso Fabio Borini, ma anche Frank Lampard: un lavoratore incredibile. Stava sul campo il doppio degli altri".
Nel 2011 arriva, poi, la scelta di salutare l'Inghilterra per accettare la proposta dell'Amburgo.
"Avevo voglia di giocare fra i grandi, di misurarmi con il calcio di alto livello. La Germania, però, si è rivelata un paese culturalmente e linguisticamente complesso per me. Senza dubbio rimane la consapevolezza di aver fatto una grande esperienza, umana e professionale. Specie all'alba dei 20 anni".
Due anni dopo vince la voglia di casa e firma con l'Hellas. Successivamente le avventure con Sampdoria, SPAL e Spezia. Tutte in Serie A. A quale è rimasto particolarmente legato?
"I tre anni alla Samp con Marco Giampaolo sono stati, per me, indimenticabili. Dove ho scoperto una tifoseria pazzesca e vissuto le emozioni del derby di Genova. Anche a Verona, però, devo dire di aver scoperto una città fantastica, a misura d'uomo, dove si vive davvero bene e con dei tifosi stupendi"
Giampaolo il miglior tecnico della sua carriera?
"Al netto di Ancelotti, che però ho vissuto solo marginalmente, è stato senza dubbio lui. Un maestro di calcio".
Durante il suo percorso, in particolare nel periodo vissuto a La Spezia, ha avuto modo di lavorare anche con Vincenzo Italiano e Thiago Motta. Due dei tecnici della nuova generazione più apprezzati al momento.
"Con Italiano ci sono stati alti e bassi, con qualche incomprensione. Senza, dubbio, però, è un tecnico molto preparato, formidabile nella costruzione della fase offensive. Con Motta, invece, ho instaurato un rapporto davvero molto bello. Ho scoperto una persona con una personalità incredibile, una di quelle che ti bastava vedere per apprezzarne il carisma. Sa parlare al cuore dei giocatori e si capisce che crede ciecamente in ciò che insegna. Non è un caso che sia oggi sulla panchina della Juve".
Nella scorsa estate, poi, la scelta sorprendente di scendere addirittura in Serie C per sposare il progetto del Rimini.
"Avevo una grande voglia di tornare a giocare con continuità, a prescindere dalla categoria, e ho trovato un torneo che devi capire ma nel quale mi sono trovato benissimo grazie anche al gruppo che c'era Rimini".
Adesso è svincolato: quali sono le sue idee per il futuro?
"Prima di tutto trovare una nuova squadra che creda in me. Vorrei finire la carriera con un altro paio di stagioni da calciatore. Per il dopo, invece, mi piacerebbe tanto rimanere sul campo. A contatto con i giocatori, per farli crescere nel ruolo di allenatore".
Che realtà ha trovato a Cobham?
"Qualcosa di incredibile. Specie se arrivavi dalle strutture che al tempo si potevano trovare nel nostro Paese. A differenza, poi, di quello che avevo vissuto con l'Atalanta, in Premier League non c'è separazione fra i calciatori della prima squadra e quelli delle giovanili. Si mangia insieme, ci si allena in contemporanea e hai una possibilità di confrontarti costantemente".
In più nello stesso periodo che ha vissuto lei ai Blues sulla panchina di Stamford Bridge sedeva un certo Carlo Ancelotti.
"Una persona incredibile oltre che un tecnico di altissimo profilo. Si tratta di un professionista unico che, però, lavora molto col cuore e che antepone sempre la persona al calciatore. Con lui ho vissuto le mie prime esperienze con i grandi".
Peccato non sia mai arrivato l'esordio in prima squadra
"Purtroppo mi sono infortunato nel momento sbagliato. Quell'esperienza, però, mi ha permesso di entrare in contatto anche con calciatori fenomenali come Didier Drogba che ricordo per la sua disponibilità verso i giovani come me e lo stesso Fabio Borini, ma anche Frank Lampard: un lavoratore incredibile. Stava sul campo il doppio degli altri".
Nel 2011 arriva, poi, la scelta di salutare l'Inghilterra per accettare la proposta dell'Amburgo.
"Avevo voglia di giocare fra i grandi, di misurarmi con il calcio di alto livello. La Germania, però, si è rivelata un paese culturalmente e linguisticamente complesso per me. Senza dubbio rimane la consapevolezza di aver fatto una grande esperienza, umana e professionale. Specie all'alba dei 20 anni".
Due anni dopo vince la voglia di casa e firma con l'Hellas. Successivamente le avventure con Sampdoria, SPAL e Spezia. Tutte in Serie A. A quale è rimasto particolarmente legato?
"I tre anni alla Samp con Marco Giampaolo sono stati, per me, indimenticabili. Dove ho scoperto una tifoseria pazzesca e vissuto le emozioni del derby di Genova. Anche a Verona, però, devo dire di aver scoperto una città fantastica, a misura d'uomo, dove si vive davvero bene e con dei tifosi stupendi"
Giampaolo il miglior tecnico della sua carriera?
"Al netto di Ancelotti, che però ho vissuto solo marginalmente, è stato senza dubbio lui. Un maestro di calcio".
Durante il suo percorso, in particolare nel periodo vissuto a La Spezia, ha avuto modo di lavorare anche con Vincenzo Italiano e Thiago Motta. Due dei tecnici della nuova generazione più apprezzati al momento.
"Con Italiano ci sono stati alti e bassi, con qualche incomprensione. Senza, dubbio, però, è un tecnico molto preparato, formidabile nella costruzione della fase offensive. Con Motta, invece, ho instaurato un rapporto davvero molto bello. Ho scoperto una persona con una personalità incredibile, una di quelle che ti bastava vedere per apprezzarne il carisma. Sa parlare al cuore dei giocatori e si capisce che crede ciecamente in ciò che insegna. Non è un caso che sia oggi sulla panchina della Juve".
Nella scorsa estate, poi, la scelta sorprendente di scendere addirittura in Serie C per sposare il progetto del Rimini.
"Avevo una grande voglia di tornare a giocare con continuità, a prescindere dalla categoria, e ho trovato un torneo che devi capire ma nel quale mi sono trovato benissimo grazie anche al gruppo che c'era Rimini".
Adesso è svincolato: quali sono le sue idee per il futuro?
"Prima di tutto trovare una nuova squadra che creda in me. Vorrei finire la carriera con un altro paio di stagioni da calciatore. Per il dopo, invece, mi piacerebbe tanto rimanere sul campo. A contatto con i giocatori, per farli crescere nel ruolo di allenatore".
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