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Dimarco: "All'Inter ho 'rubato' tantissimo da Perisic. Inzaghi mi ha voluto fortemente"TUTTO mercato WEB
ieri alle 18:38Serie A
di Simone Lorini

Dimarco: "All'Inter ho 'rubato' tantissimo da Perisic. Inzaghi mi ha voluto fortemente"

Federico Dimarco, calciatore dell'Inter e della Nazionale italiana, ha rilasciato una lunga intervista a Gianluca Gazzoli, autore del podcast "Passa dal basement". Queste le sue parole sul ritorno definitivo in maglia nerazzurra: "Andare a Verona è stata una mia scelta personale. Nella mia piccola carriera non mi sono mai fatto consigliare da nessuno. Potevo perdermi ancora, ma ero convinto che con quell'allenatore e quel modo di giocare potevo svoltare, ed è successo, anche se con grande fatica. A Verona son stato veramente bene. C'è stato il COVID di mezzo, ma è una città che mi ha dato tanto. mi dispiace aver giocato con lo stadio vuoto, hanno un bel tifo. Spero di essere rimasto nel cuore dei veronesi".

Definitivo ritorno all'Inter, chi ti chiama?
"Mi hanno detto di andare in ritiro. Io non sapevo se dovevo rimanere o andare via, perché il Verona aveva il diritto di riscatto e l'Inter il controriscatto. Da lì, pian piano, esperienza dopo esperienza, cresci. Quando sono tornato ero tutt'altro giocatore, ma non ero pronto per giocare determinare partite. Le varie esperienze nello spogliatoio e l'aiuto di determinati giocatori mi ha fatto alzare il livello, ho rubato tante cose positive e da lì è iniziata la scalata, fino ad arrivare a ciò che sono ora".

A chi hai rubato di più?
"L'anno che sono tornato ho preso tanto da Perisic. Quell'anno è stato devastante. Poi nello spogliatoio, quando hai gente come Dzeko, ti trasferisce quel tipo di approccio da grande squadra. C'erano Skriniar, Handanovic, Barella che conosco da quando abbiamo 14 anni, Bastoni che era con me a Parma, Lautaro…".

C'è qualcuno in particolare che ti ha colpito, dicendoti qualcosa che non ti aspettavi?
"Il direttore Piero Ausilio mi ha detto delle parole che mi hanno riempito d'orgoglio. Mi sono guardato indietro e mi sono commosso".


C'è una caratteristica particolare che senti di aver acquisito nelle tue varie esperienze? Spesso si dice "farsi le ossa",
"Ogni giocatore dev'essere padrone del suo destino, dev'essere consapevole e deve andare fino in fondo nelle scelte che fa. Ognuno è diverso. Magari io ho avuto bisogno di cinque-sei squadre prima dell'Inter e ad altri basta un anno fuori. Ognuno ha il suo percorso di crescita, deve fare quello che si sente. Alla fine quello che paga è il lavoro".

Quando sei tornato all'Inter l'ultima volta, sentivi che era per restare?
"Sì. Ho sentito quella differenza, mi sentivo veramente dentro quell'ambiente. Quando sono tornato, dopo aver fatto tante esperienze e aver dimostrato chi ero veramente, mi sono sentito parte integrante dell'ambiente Inter. Il mister mi ha fatto capire subito che mi voleva, è stata una bella svolta".

Ti ha detto lui di restare?
"Sì. Poi quando torni e alcuni vengono da te a dirti: "Non pensavamo diventassi così"... Sono quelle le grandi soddisfazioni, anche perché a Sion pensavo di smettere. Mi ero fatto male e nello stesso tempo ho perso un figlio. Cinque mesi da incubo. Mi era venuta la voglia di smettere, ma mi sono guardato dentro e ho proseguito".