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A San Siro con serenità, perdere non è così scontato
Due sole vittorie nel dopoguerra e qualche pareggino qua e là. Se dovessimo basarci sui precedenti, la partita nella Milano nerazzurra non sarebbe dissimile da quelle all'Olimpico giallorosso e al Franchi: senza speranze o quasi. Poi osservi la realtà senza voltarti indietro e ti accorgi che il match accende appare lontano dall'essere scontato.
Certe gare si giocano sulla tecnica ma anche sulla psicologia, e sotto quest'ultimo aspetto il Grifo è avanti di parecchio sulla Beneamata. L'approdo a quota 30 e la conseguenze distanza siderale dal trio di cenerentole, infatti, è un moltiplicatore di serenità e fiducia, un antidoto per qualsiasi tipo di agitazione e paura. In condizioni mentalmente migliori, i rossoblù non potrebbero presentarsi sul palcoscenico della Scala.
In casa nerazzurra, invece, serpeggia parecchia inquietudine. La sconfitta di Torino ha certamente lasciato qualche strascico nel cervello di calciatori abituati a vincere con uno schiocco delle dita e invece reduci da un periodo nient'affatto esaltante. Certo, se i campioni d'Italia dovessero sfogare tutta la loro rabbia, cosiccome fecero ai danni della Fiorentina dopo aver perso il recupero coi viola, la serata meneghina non diventerebbe granché propizia per Frendrup e compagni.
Ma c'è un... ma grosso come un grattacielo. Nel successivo week-end, infatti, è in programma il confronto scudetto al Maradona: tappa fondamentale nella stagione interista, e questa scadenza potrebbe anche condizionare le scelte del mister e il rendimento di alcuni campioni, segnatamente Barella, Bastoni e Mkhitaryan, diffidati e perciò a rischio di saltare il viaggio il big match. A ciò s'aggiunga il forfait certo del portiere titolare Sommer, infortunato ad una falange,e quelli probabili di Carlos Augusto (ginocchio dolorante) e Thuram (problemi ad una caviglia).
Vero che le seconde scelte dei nerazzurri sarebbero degli inamovibili in ogni altra squadra, ma Taremi vale cento volte meno del formidabile coloured francese e l'ex di turno, Josep Martinez , all'esordio assoluto in una contesa ufficiale, potrebbe pagare la ruggine accumulata. Attendiamoci comunque qualche altra mossa tipo De Vrji per Acerbi in difesa e la coppia Frattesi-Zielinski a centrocampo. Pure Dumfries, peraltro in gran spolvero, potrebbe rifiatare.
Il Genoa ha una gran voglia di castigare un eventuale peccato di sottovalutazione da parte del fratello d'arte che muove i fili nerazzurri. Vieira, che nell'Inter ha militato, non s'illude ma neppure si spaventa. Dopo tutto, la fase difensiva del suo Genoa è tra le più produttive d'Italia e la capacità di far giocar male gli avversari risulta ineguagliabile.
Una sola avvertenza dovranno rispettare i rossoblù: guai ad insistere sulle azioni partite da dietro, che favorirebbero i maestro insuperabili nel rubar palla sulla trequarti e con un-due passaggi andare a bersaglio. E' assai preferibile il lancio lungo del portiere, così da allontanare la sfera dalla propria porta e, nel contempo, da innescare un potenziale contropiede. Vietato, inoltre, sbilanciarsi scoprendo le spalle: è assai meno rischioso concedere il predominio ai padroni di casa chiudendo ogni varco al limite dei sedici metri.
La disposizione e l'atteggiamento tattico, almeno sin quando regge lo 0-0, sono privi di alternative. Resta da decidere gli interpreti, ma – considerando le assenze di Badelj, Thorsby e Vitinha – non è che mister Patrick sguazzi nell'abbondanza. Dunque, quartetto difensivo molto accorto, con De Winter largo, in mediana Frendrup fulcro supportato da Masini, con Miretti e Messias a flottare tra centrocampo e attacco e due guastatori offensivi del calibro di Pinamonti (nella Primavera interista segnava gol a grappoli) e il vincitore del ballottaggio tra Cornet ed Ekuban, col primo favorito di un'incollatura e il secondo che, come innesto a gara in corso, potrebbe scombinare i piani inzaghiani costringendo i gendarmi meneghini a corrergli appresso.
L'impegno è improbo, ma forse meno del prevedibile. Tocca al Grifone nobiltarlo, o almeno renderlo meno complicato, con novanta minuti di abnegazione e di lucidità, senza regalare all'avversario – come spesso accaduto di recente – la prima metà della gara.
PIERLUIGI GAMBINO
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