
Gasperini e il fascino irresistibile della storia ancora da scrivere
Ogni volta che Gian Piero Gasperini prende la parola non è mai banale. Non lo è stato neanche stavolta, mentre riceveva a Roma il Premio Bearzot e la Panchina d’Oro Speciale. Tra sorrisi, ironie e risposte sibilline sul futuro, il tecnico dell’Atalanta ha lanciato un messaggio chiaro e potente: il suo viaggio a Bergamo non è finito, forse non finirà presto, ma soprattutto non terminerà senza aver provato a trasformare definitivamente i sogni in realtà.
Non ha chiuso nessuna porta, Gasp, e del resto non avrebbe potuto fare altrimenti. Quando gli chiedono se la Roma possa essere una tentazione simile alla Nazionale, risponde con elegante prudenza. Sa bene che nel calcio esistono stagioni, cicli e scadenze naturali. Eppure, più forte del richiamo delle sirene romane o torinesi, più forte della curiosità per il domani, è ancora la fame di scrivere la pagina più bella della storia atalantina.
Bergamo gli prepara una statua, lui scherza («mi metto in coda, non ho fretta») e intanto continua a fare ciò che gli riesce meglio: tenere viva una speranza impossibile. Perché «certe volte l’impossibile succede davvero», dice il tecnico, e non puoi fare a meno di credergli. Lo dice con la leggerezza di chi in fondo ha già fatto miracoli, portando l’Atalanta sul tetto d’Europa e trasformando il club in un punto di riferimento per tutto il calcio italiano.
Ma proprio ora che il traguardo più grande sembra vicino e lontano allo stesso tempo, il messaggio del tecnico diventa prezioso. Il suo viaggio, che dura da anni e continua ad affascinare, meriterebbe un finale epico. Non importa che sia tra pochi mesi o tra qualche anno: la sensazione è che Gasperini abbia ancora tante pagine da scrivere prima di lasciare Bergamo. E forse, chissà, la più bella è proprio quella che nessuno si aspetta.







