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Papà a tempo pieno, sognando una panchina. Da Roma a Palermo, Cesare Bovo si raccontaTUTTO mercato WEB
Oggi alle 12:40I Giganti del Calcio
di Alessio Alaimo

Papà a tempo pieno, sognando una panchina. Da Roma a Palermo, Cesare Bovo si racconta

È un pomeriggio di febbraio e su Palermo splende il sole. L’appuntamento con Cesare Bovo è lontano dal caos cittadino, al Circolo Albaria di Mondello, per la rubrica di TuttoMercatoWeb.com I giganti del calcio l’ex difensore di, tra le altre, Roma, Palermo e Torino rispolvera il suo passato con un occhio alla vita privata e un altro al futuro, su una panchina. Per riprendere il percorso cominciato con Fabio Liverani qualche anno fa tra Lecce, Cagliari e Parma e ripreso la scorsa stagione proprio al Palermo, in prima squadra prima con Eugenio Corini e poi concluso con Michele Mignani.

Bovo, romano e romanista, muove i primi passi proprio alla Roma. Meglio di così…
“Ho iniziato giovanissimo, a nove anni ero già nel settore giovanile. Ho fatto tutta la trafila, fino ad arrivare in prima squadra. Poi ho girato un po’. Ma si, per un ragazzo di Roma crescere nel settore giovanile della propria squadra del cuore, è il massimo”.

Com’era il Cesare Bovo ragazzino che si divideva tra scuola e allenamenti?
“Non ho mai avuto l’ossessione di voler arrivare. È arrivato tutto con naturalezza, le cose sono migliorate anno dopo anno. Magari da ragazzo c’è stato qualche periodo dove giocavo meno. Ma fa parte della crescita. Sono sempre stato concreto, equilibrato. Caratteristiche che forse oggi mancano un po’ e alle prime difficoltà si molla. Ero un ragazzino che andava a letto lasciando gli scarpini sul comodino, il pallone era sempre con me, mi dividevo tra scuola e campo d’allenamento, col classico panino in macchina per andare a Trigoria. Mia madre mi accompagnava e mio padre mi riportava.
I miei genitori hanno fatto dei sacrifici che adesso che sono genitore capisco molto di più. E andare a Trigoria non era certo vicino come andare, per fare un esempio, da Mondello allo stadio del Palermo”.
Da romano e romanista: come è stato vivere la prima squadra? Totti su tutti…
“Sono sempre stato un ragazzo introverso, molto semplice, molto umile, non ho mai chiesto una foto a un giocatore, nonostante avessi nei calciatori della prima squadra dei punti di riferimento. Francesco Totti è grandissimo in tutto: lo era in campo e anche fuori, un ragazzo molto alla mano, semplice, umile. E del calciatore inutile parlarne, le qualità le conosciamo tutti. Arrivare a diciotto anni in prima squadra è stato bellissimo. La Roma ha un settore giovanile importante, da lì siamo usciti in tanti. Allenarsi con quei campioni è stato fondamentale per la mia formazione”.

Poi l’avventura lontano da casa. Da Delio Rossi a Lecce e poi al Parma.
“Quando vai via da casa per la prima volta non sai mai cosa ti aspetta, non è facile e devo dire che poi sono arrivato in una piazza fantastica, ho trovato una squadra fatta di giocatori forti, di giocatori veri, era il 2002, una serie B fatta da Tonetto, Vucinic, Piangerelli, Silvestri, Stovini, Chevanton, Giacomazzi, i giovani… Ho trovato una squadra vera, uomini, uno spogliatoio che mi ha aiutato. Poi anche lì ho trovato delle difficoltà, a causa di un infortunio al ginocchio. Ma quando sei giovane serve anche la panchina”.

Se non avesse avuto tutti gli infortuni che l’hanno colpita…
“Fanno parte del gioco, poi c'è chi ne subisce tanti e chi meno. I miei, devo dire la verità, sono stati abbastanza, forse anche troppi, però ho avuto sempre la voglia, il carattere, quella tenacia di voler tornare a dimostrare che c'ero ancora e quindi questo per me è stato un aspetto molto importante: tornare dopo ogni intervento e riuscire a rigiocare, a farsi vedere, a essere un giocatore importante per la tua squadra credo che sia una grande soddisfazione”.
Da ragazzo porta a casa un Europeo con l’Under 21.
“Del tutto inaspettato perché il secondo anno di Lecce in serie A ho iniziato che non giocavo mai, come avevo finito in serie B. Poi a dicembre il mister Delio Rossi, che per me è un grande allenatore, una grande persona, fondamentale per la mia crescita e anche per la mia consacrazione, mi ha fatto giocare praticamente le ultime diciannove partite di campionato. La mia prima stagione in serie A, ci siamo salvati miracolosamente perché nel giorno d'andata avevamo nove punti, al ritorno ci siamo salvati con due giornate d'anticipo. Ho fatto parte di quella squadra, ho fatto benissimo ed è arrivata la convocazione all'europeo Under 21 forse anche fortunosa perché Paolo Cannavaro si era rotto il quinto metatarso: io andai come sostituto. Alla seconda partita Gentile mi fece giocare, ero uno degli ultimi arrivati, feci benissimo, giocai poi tutto l’Europeo e per me fu un'esperienza che ancora oggi vivo come se fosse stata ieri”.

Nel 2006 va al Palermo. Era il Palermo di Guidolin, che ha sfiorato la Champions League.
“Arrivavo dalla Roma, preso alle buste.
Arrivai con tante aspettative perché avevo terminato il ciclo con l’Under 21 e venivo già da esperienze in Serie A. Il presidente Zamparini in quegli anni è sempre stato calcisticamente innamorato di me. Ma il primo giorno di ritiro mi infortunai e fui costretto ad operarmi. Stetti fuori due mesi e mezzo. Ebbi una ricaduta, l’operazione non era stata fatta nel migliore dei modi.
Ma anche quando sono tornato a disposizione Guidolin non mi ha mai considerato”.

Da lì il trasferimento al Torino.
“Ho giocato sette partite, facendo bene. Poi la terza ricaduta. Dunque un nuovo intervento. Poi una volta andato al Genoa non ho più avuto problemi al piede”.

Al Torino poi scriverà pagine importanti. Come al Palermo di Delio Rossi, il periodo migliore della sua carriera.
“Le stagioni migliori, si. Avevamo un grande gruppo, un’ottima squadra. Tre stagioni stupende, in crescendo. Grazie anche a quei quattro-cinque elementi che alzavano il livello. Ma il segreto di quel Palermo, oltre al talento, era l’unione”.


Quella finale di Coppa Italia a Roma…
“Dopo tre stagioni in cui sono stato un riferimento per la squadra, per il reparto difensivo, non averla giocata è un grosso rimpianto. Ancora oggi mi mangio le mani, purtroppo contro il Milan avevo commesso un’ingenuità dettata dalla troppa sicurezza perché mi sentivo bene, stavo bene, Non volevo far niente di che, avevo capito che Pato avrebbe stoppato, avevo capito il passaggio di Pirlo, avevo già immaginato che il brasiliano stoppasse la palla con il corpo per portarsela per aprirsi il campo. Avevo pensato: gli rubo la palla, con la gamba gliela alzo e vado via, lui invece si è allungato e secondo me se l'è portata avanti anche con la mano, però si è abbassato e io col piede ho fatto un fallo che bastava stare fermi, accompagnarlo… Stavamo 2-0, eravamo a dieci minuti dalla fine. Colpa della troppa fiducia”.

Mi sembra di capire che i suoi rimpianti principali siano due. Gli infortuni e non aver potuto giocare la finale di Coppa Italia con la maglia del Palermo.
“La finale di Coppa Italia è il rimpianto più grande perché l'ho buttata, gli infortuni purtroppo fanno parte del gioco”.

Tra i suoi allenatori c’è stato Zeman. Non il massimo per un difensore…
“Dopo quattro anni di Torino, al quarto anno sembravo fuori dai piani. Con Mihajlovic ho giocato le prime quattro partite facendo molto bene e poi sono uscito fuori dai piani. Il Pescara ha creduto in me, in quel periodo c’era Oddo: sono arrivato a gennaio, la prima partita contro la Fiorentina venne rinviata per neve contro la Fiorentina. Andammo ad allenarci al centro sportivo e… infortunio alla caviglia. Fuori due mesi e mezzo, quando rientrai eravamo spacciati. Zeman è un allenatore con le sue idee, con la sua mentalità che è stata anche la sua forza, io ero a fine carriera e lui secondo me è un allenatore che preferisce lavorare con i ragazzi che magari pensano meno. Quell'anno in Serie A sono rientrato per le ultime dieci partite e le ho giocate tutte, poi l'anno dopo in Serie B ho avuto problemi al ginocchio. Mi sono operato ancora e non sono riuscito più a giocare”.

Da lì il Lecce. Dove inizia la sua avventura in uno staff tecnico.
“Fabio Liverani era l’allenatore del Lecce, mi propose di andare a giocare un anno lì e onestamente per il rapporto che avevamo dissi Fabio che le condizioni del mio ginocchio erano un po’ precarie perché ero fermo da qualche mese. A Fabio dissi che sarei andato in prova perché volevo capire se avrei potuto dare una mano senza approfittare della nostra amicizia. Firmai, poi però l’infortunio era sempre dietro l’angolo. Giocai. Ma poi decisi di intraprendere un’altra strada e dirò sempre grazie a Fabio per avermi dato l’opportunità di diventare un suo collaboratore”.

Nel futuro c’è una panchina? L’anno scorso ha collaborato con Corini e Mignani al
Palermo.

“Il mio percorso è stato rallentato da vicende familiari. Le mie figlie vivono a Palermo, sono separato da cinque anni e ho fatto una scelta di vita anche per stare vicino a loro che per me è sono molto importanti. L’anno scorso grazie al direttore Rinaudo ho avuto la possibilità di tornare al Palermo e per me era stato un coronamento dell’esperienza precedente, una mano dal cielo. Mi piacerebbe ricominciare e in futuro mi vedo in panchina perché penso di avere le capacità”.
L’anno scorso il Palermo - prima con Corini e poi Mignani - è arrivato alla semifinale dei playoff.
“Con Corini avevo un buon rapporto ma non ero un suo collaboratore diretto perché ero stato scelto dalla società. Non è stato facilissimo a livello lavorativo perché lo spazio era poco, ma l'ho accettato con entusiasmo cercando di imparare da lui e dal suo staff. Ma bisogna dire le cose come stanno: Corini ha fatto un buon lavoro perché comunque ci ha portato sempre a un livello di classifica buono. Purtroppo i periodi negativi possono capitare a tutti. Alla fine l'obiettivo dei playoff, per la squadra, è arrivato grazie al suo lavoro”.

Poi è arrivato Mignani dove lei è stato più coinvolto.
“Molto di più. Ho trovato un mister e uno staff con cui sono stato veramente bene, ancora oggi ci sentiamo: è nato un ottimo rapporto di amicizia e sono stati due mesi belli sotto l'aspetto umano. Però va detto ad onor del vero che i punti fondamentali per arrivare ai playoff erano stati fatti prima da Corini”.
Per il Palermo questa stagione è fin qui negativa. Da fuori si è fatto un’idea?
“Non è facile parlare adesso del Palermo perché non sono dentro le dinamiche. Conosco i ragazzi, sicuramente le aspettative erano diverse. Il Palermo sta vivendo un momento particolare, ha fatto un mercato importante, non riesce a prendere il via, però io credo anche che possa diventare una squadra pericolosa verso la fine del campionato perché se riuscisse a trovare due o tre risultati positivi e a prendere un po' più di fiducia, togliersi di dosso un po' questa pressione, potrebbe essere un avversario insidioso”.
Perché è finita tra lei e i rosanero?
“Ero arrivato grazie al Direttore Rinaudo e quest'anno, con il cambio del ds, mi era stato detto che non rientravo nei piani e fa parte del gioco”.
Eppure con De Sanctis c’era Migliaccio, suo compagno di squadra negli anni d’oro…
“La società ha fatto le sue scelte e si accettano. Chissà, domani magari ci sarà la possibilità di poter ritornare, mai precludersi niente. Sicuramente mi è dispiaciuto perché a prescindere dal lavoro sono affezionato al Palermo, per me è casa. Vivo in città e con questa maglia ho vissuto gli anni più importanti della mia carriera. Quindi c'è un legame forte. Il periodo di stop serve anche a capire dove magari puoi aver sbagliato e dove puoi migliorare. Bisogna imparare da tutto, soprattutto dalle cose meno positive”.
Com’è Cesare Bovo fuori dal campo?
“Un ragazzo tranquillo, molto riservato. Vivo a Palermo faccio il papà quasi a tempo pieno perché è stata una scelta, voglio essere un presente nonostante magari il matrimonio non sia andato come uno sperava o come doveva andare. Ma la vita va avanti. Ogni tanto mi ritaglio del tempo con me, con qualche amico, mi concedo una partita a tennis o un po' di palestra e un po' di solitudine”.

Sogno nel cassetto?
“Intanto iniziare, mettersi in gioco e vedere se realmente le capacità che uno pensa di avere poi riesce a metterle in pratica. Se uno non parte rimangono solo domande nella propria testa”.

Di allenatori ne ha avuti tanti. Il suo modello?
Delio Rossi mi ha dato tanto. Come anche Ventura. Lo stesso Fabio Liverani: da calciatore era straordinario, per me è stato un compagno, un calciatore di un'intelligenza fuori categoria. È bravo anche da allenatore, ha molte idee, legge benissimo la partita. Sicuramente nel corso della carriera da calciatore ci sono alcuni allenatori che ti lasciano qualcosa in più. Però quando cominci la tua strada devi portare avanti anche le tue idee”.