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Clemente di San Luca a TN: "Conte non può sbagliare, bisogna fare filotto”
Oggi alle 12:10Esclusive
di Arturo Minervini
per Tuttonapoli.net

Clemente di San Luca a TN: "Conte non può sbagliare, bisogna fare filotto”

Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, commenta così il momento del Napoli

"Se il Signore non avesse chiamato a sé Papa Francesco proprio il Lunedì dell’Angelo – nel giorno di Pasquetta, come si definisce nella tradizione volgare (non nei testi liturgici) –, il popolo azzurro starebbe ancora gioendo pazzamente per la Pasqua appena trascorsa e le nuove prospettive per i possibili esiti del campionato.

E invece quella pazzia gioiosa s’è contenuta, perché – caro Conte – a Napoli starai pure «benissimo», ti sarai pure «integrato con la città», ti emozionerà pure «il popolo napoletano», ma stai ancora abbastanza in superficie. Altrimenti non avresti accompagnato quelle dichiarazioni con un clamoroso falso antropologico. Che «Al tifoso del Napoli non piace il sole e il mandolino, ma vincere. Se non vince, diventa cattivo». Perché di questo si tratta, di un vero e proprio falso. Come ha scritto Minervini, a Napoli «non ci sono cose che non si possono fare».

Per carità, nessuno vuol negare che anche qui da noi ci sia una minoranza – tanto rumorosa, quanto saccente – che persevera nell’errore dei martiri del ’99, ripetendo in maniera tralatizia il solito, stantio, refrain, secondo cui i napoletani, se «fossero cittadini lo capirebbero, ma sono solo popolo», e non si rendono conto che Conte abbia parlato così per «tenere la sua squadra al sicuro da critiche, polemiche e mantenerla concentrata sugli spelacchiati terreni di Castelvolturno».

Poveri derelitti questi napoletani, la «evoluzione alla moderna società civile è una chimera a queste latitudini». Come se le dolorose trasformazioni del mondo contemporaneo non stessero lì a testimoniare il fallimento di chi non sa cogliere le lezioni della Storia. Come se non si fosse appieno manifestata la profonda incapacità della cultura woke di comprendere le vaste moltitudini di gente semplice, nella convinta pretesa di essere portatrice di Verità assoluta. Costringendoci a doverne amaramente sopportare le conseguenze: Trump e i suoi compari, grandi e piccoli (come i nostrani).

E beati, invece, questi grandi pensatori che, unici depositari della conoscenza, sono certi che si tratti di strategia comunicativa e non di dissapori con la società. Così come che gli infortuni muscolari dipendano esclusivamente dai campi di allenamento non rifatti.

Quelli come me, che capiscono solo di «palle di pezza», nutrono molti dubbi. Sia per ciò che concerne gli infortuni muscolari (chi ne sa mi dice che, in genere, hanno un’origine multifattoriale, e tra i vari fattori sicuramente c’è anche il terreno su cui si fa training, ma non è certo l’unico: del resto, rimarrebbe senza spiegazione il fatto che, sui medesimi campi, con Spalletti e i tre dell’anno scorso non si riscontrarono tanti problemi). Sia sul persistere della relazione idilliaca e serena fra Conte («C’è grande apertura sotto tutti i punti di vista, poi bisognerà vedere la realtà quale sarà») e ADL (bravissimo a schivare il tema nell’intervista prepartita resa alla radio ufficiale). E speriamo ardentemente che queste voci che girano – orribili e del tutto inopportune (secondo cui il Presidente avrebbe già parlato con Allegri) – siano solo dicerie create ad arte, prive di fondamento.

Ai napoletani ed ai tifosi azzurri, il sole e il mare, ’a chitarra e ’o mandulino, piacciono assai. Amano la bellezza, restano affascinati dal genio e adorano chi lo manifesti. Sono pigri sì, ma laboriosi. Godono dell’ozio contemplativo, ma non conoscono accidia ed indolenza. Si nutrono di umanità. Sanno riconoscere la bontà e le persone generose, perché gli rassomigliano. Sanno distinguerle da quelle che, rappresentando modelli di concorrenza spietata, concepiscono la competizione solo in funzione della vittoria. Aspirano a coniugare questa con il genio e la bellezza.

Tutto questo solo per replicare alle tante fandonie e/o farneticazioni che da qualche giorno pervadono social e media. In realtà adesso, ai tifosi azzurri malati, come me, «non gliene può frega’ de meno», come si dice a Roma. Dobbiamo fare ogni sforzo per provare a realizzare il filotto nelle ultime cinque. Ma senza far finta che sabato scorso non abbiamo sofferto come dannati. Perché, ringraziando Iddio, abbiamo vinto con scarsissimo merito, ciò consentendoci di fare una buona Pasqua. La quale poi, la sera di domenica, all’ultimo respiro di Bologna-Inter, è diventata fantastica. Una gioia incontenibile, per quel segnale (che tutti abbiamo percepito forte) che effettivamente il sogno si possa realizzare. Gioia, purtroppo, smorzata, nella prima mattina di Pasquetta, dalla triste notizia.

Dopo la partita è andata in scena la inevitabile, fisiologica, schizofrenia del popolo azzurro. A dividersi il campo ‘giochisti’ e ‘risultatisti’. I giornalisti del nord a scrivere schizzando letame (sullo «sciacallaggio» e gli «avvoltoi» il mister ha ragione, ma sono espressione della cultura e della politica che egli stesso incarna, ed è stato lui ad offrirgli il destro). Quelli nostrani ad operare, senza pudore e coerenza, come servi sciocchi del padrone (prima hanno dato addosso a chi provava solo a ragionare lucidamente; poi hanno fatto ammenda, pervenendo alle stesse conclusioni dopo mesi di ritardo, arrivando a definire il Napoli addirittura «imbarazzante»; infine hanno innestato repentina retromarcia, rimangiandosi il pensiero dopo la seconda conferenza di Conte).

Comunque, veramente adesso «non ce ne può frega’ de meno». Qua bisogna vedere come fare per portare a casa 15 punti. E se giochiamo come a Monza, la vedo difficile. A cominciare dal Toro, ch’è squadra tosta. Specie se la Roma dovesse riuscire a non perdere a San Siro (onestamente, non so come leggere la batosta presa dai nerazzurri nel derby della semifinale di Coppa), dovremmo far di tutto per provare a vincere. E per farlo, il mister non può sbagliare niente.

Perché – smettiamola col ‘santino’, ché non aiuta – Conte ha pregi indiscutibili. Ha notevole esperienza. È professionista serio e grande motivatore. Parla in maniera chiara. Ma certamente non è senza difetti: a) pur avendo a disposizione una rosa fortissima, non può dirsi che l’abbia gestita al meglio (al netto della sciagurata perdita di Kvara, ha quasi sempre sbagliato i cambi); b) non ha dato alla squadra una chiara identità di gioco (il che – intendiamoci – è anche un merito, perché l’attitudine camaleontica costituisce una indubbia virtù, sempre che, però, l’alternare i moduli, indispensabile per fronteggiare le emergenze, generi risultati soddisfacenti); c) non sembra che la preparazione atletica sia stata proprio ineccepibile, ed è almeno inelegante prendersela coi campi di allenamento. Tengo da parte il limite che ho evidenziato sin dall’inizio della stagione (che egli resta piena espressione della cultura juventina: a Napoli sta bene perché a Napoli si sta bene, ma lui non è affatto alfiere della città e del suo popolo; se lo fosse, non si esprimerebbe a quel modo).

Ma quindi ora che bisogna fare? Dobbiamo batterci fino all’ultimo respiro, uniti ma senza infingimenti. Ancora una volta, «Adelante, Pedro, con juicio, si puedes». Se poi, malauguratamente, non dovesse andar bene ed il sogno svanire, certo non ci stracceremo le vesti se Conte vorrà andar via. D’altronde – diversamente da quanto si continua a ripetere senza prove («con ogni probabilità solo un tecnico come Conte poteva ribaltare una situazione così complicata in pochi mesi») – risalire dopo l’annata infausta non è cosa «straordinaria», non è un «miracolo». Come recita l’antico adagio, «’N tiempo ’e tempesta, ogni pertuso è puorto». A parità di condizioni, secondo me, anche altri avrebbero saputo far bene. Perciò, adesso pensi a non sbagliare. Contribuisca a realizzare il sogno azzurro. Che lo faccia per il suo successo personale nulla leverebbe alla nostra gioia. Dopo di che, vada pure, e continui a pensare solo a sé stesso e alla sua «professionalità». Non ha capito Napoli, pazienza. Non è il primo, non sarà l’ultimo".