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Clemente di San Luca a TN: "Inter favorita da arbitraggio idoneo per il rugby"
Oggi alle 12:00Esclusive
di Arturo Minervini
per Tuttonapoli.net

Clemente di San Luca a TN: "Inter favorita da arbitraggio idoneo per il rugby"

"Se vogliamo ancora alimentare il sogno, oggi dobbiamo battere la Fiorentina".

Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, commenta così il momento del Napoli sulle pagine di Tuttonapoli.net

"Se vogliamo ancora alimentare il sogno, oggi dobbiamo battere la Fiorentina. Favorita da un arbitraggio idoneo per il rugby, l’Inter ha vinto col Monza e s’è messa 4 punti davanti. È possibile che stasera Juve e Atalanta pareggeranno. Del resto, se vincono i bianconeri, diventano un ostacolo altissimo (considerata la storia sotto i suoi vari profili, a cominciare da quello della benevolenza usualmente riservatale nel far rispettare le regole); se vincono gli orobici, nonostante il calendario difficile, rendono plausibile la conferma della loro capacità di fare strepitosi finali di stagione. Perciò, non abbiamo scelta. Dobbiamo vincere. E qualunque modulo alla fine adotterà il mister, se gli azzurri andranno in campo come con l’Inter, e i viola giocheranno come stanno facendo da ultimo (ad Atene privi del nerbo necessario), possiamo ben sperare.

Ribadisco, comunque, quanto scrivo ormai da anni. Per vincere occorrono tre cose. Primo: una squadra forte che gioca bene. Secondo: il Kairòs favorevole, il che significa essere assistiti dal ‘tempo giusto’ delle cose. Pensiamo, per esempio, all’intervento di Bastoni su Lukaku nel primo tempo di Napoli-Inter di sabato scorso: per pochi centimetri devia la palla, che così non gonfia la rete, cambiando il corso della partita. Oppure al tiro finale di Ngonge, che sbatte sulle gambe di Dumfries: se la palla vi passa in mezzo, o schizza da un lato, facciamo gol. E invece è finita, smorzata, tra le braccia del portiere. Questa del Kairòs è forse la componente più affascinante del gioco del calcio, come in genere di ogni vicenda della vita. Quanto conta nel percorso imboccare la strada giusta! Ricordate quel famoso, meraviglioso, film, The sliding doors? A seconda della porta in cui entri nella metropolitana, ti cambia la vita.

Oltre al Kairòs favorevole, però, occorre pure che la competizione sia fair, giusta, leale. Ci vuole, cioè, che l’intero apparato regolativo venga interpretato ed applicato in maniera equanime. Ebbene – checché ne pensino molti esponenti della stampa, persino parte di quelli nostrani (che, non si capisce perché, all’improvviso smettono di considerare rilevanti le illegittimità sul terreno di gioco, per concentrarsi soltanto su quelle fuori dal campo) –, questa terza condizione quasi sempre finisce per essere determinante sull’esito della competizione. Per circoscriverne l’assai nefasta influenza, v’è una sola via utile: riconoscere, prima di tutto, che le regole del gioco del calcio sono norme giuridiche, e vanno interpretate ed applicate come tali, senza lasciare il relativo dibattito al livello del bar-sport (che – anche comprensibilmente – caratterizza le trasmissioni dei media nazionali e, a seguire, di quelli locali).

È evidente che, se non si fa così, si perde di vista il punto centrale della questione: la necessità di ridurre il più possibile lo spazio di valutazione degli arbitri. Ove si rimetta, in capo al direttore di gara, un potere di decisione arbitrario, affermando che egli possa anche uscire dal perimetro rigorosamente definito dalle prescrizioni che disciplinano il gioco (stabilite da Regolamento e Protocollo VAR), gli si consente di guidare l’andamento della partita in modo anche difforme dal paradigma regolativo. Gli si dà, cioè, un potere che la norma assolutamente non gli attribuisce: quello di decidere secondo il ‘senso del gioco’, così risultando legittimo sanzionare come falloso, una volta sì, e un’altra no, un intervento del medesimo tipo.

Tutti si lamentano della mancanza di uniformità di giudizio. Ma, se non si segue la strada della giuridicità delle regole del calcio, serve a nulla (se non, addirittura, a giustificare le malefatte). A chi ne spieghi l’applicazione, perciò, non dovrebbe più consentirsi di premettere la locuzione «secondo me» questo è, o non è, fallo. A meno che dietro di essa – in un corretto approccio tecnico-giuridico – non vi sia (soltanto) l’opinabilità nella interpretazione della norma, che – si badi bene – va tenuta distinta dall’interpretazione del fatto al quale la norma va applicata (figuriamoci se gli ex arbitri, divenuti moviolisti/oracoli del Signore, sono capaci di intendere questa distinzione!).

In altre parole, non si può argomentare basandosi sul ‘senso del gioco’ (soggettivo per definizione) di chi, di volta in volta, è chiamato a commentare. Invero, si sentono ripetere frasi del tipo «ai nostri tempi per interventi del genere non si fischiava fallo», oppure «fa bene l’arbitro a lasciar correre». Questo accade quando ad esprimersi sono grandi ex arbitri o giocatori, pressoché a digiuno degli essenziali rudimenti di diritto. Come se il Regolamento fosse un optional. Prendiamo il tocco di mano di Dumfries di domenica scorsa. È del tutto omologo a quello di Lobotka a Udine, per il quale lo stesso arbitro decretò il penalty. Abbiamo sentito i (benevolmente diciamo) ‘sedicenti’ esperti in TV, spiegare la decisione di Doveri arrampicandosi sugli specchi. La Regola 12 si esprime abbastanza chiaramente: «È un’infrazione (“fallo di mano”) se un calciatore […] tocca il pallone con le proprie mani / braccia quando queste sono posizionate in modo innaturale aumentando lo spazio [non il volume!] occupato dal corpo. Si considera che un calciatore stia aumentando lo spazio occupato dal proprio corpo in modo innaturale quando la posizione delle sue mani / braccia non è conseguenza del movimento del corpo per quella specifica situazione o non è giustificabile da tale movimento. Avendo le mani / braccia in una tale posizione, il calciatore si assume il rischio che vengano colpite dal pallone e di essere punito». Dunque, c’entra niente il (o l’aumentare il volume del) corpo del giocatore. È una sciocchezza eclatante. Quello è calcio di rigore. Così come, assai probabilmente, lo era pure quello di Mkytarian, il quale, su un cross da sinistra, sembra proprio prendere il pallone con la mano: ma non ci si può esprimere compiutamente perché nelle varie televisioni, guarda caso, non è stato messo in evidenza, né mostrato alcun replay. 

Naturalmente, siccome – diversamente dai tanti che s’esprimono per difendere la maglia ‘strisciata’ fingendo di non indossarla – ci si sforza sempre di essere intellettualmente onesti, l’intervento di McTominay su Dumfries è falloso, per indiscutibile «negligenza». Si tratta inopinabilmente di calcio di rigore. Né vale quanto pervicacemente, con gravissima ignoranza, si continua a ripetere, che «lì il VAR non può intervenire, perché ha deciso l’arbitro in campo». Questa è un’altra colossale sciocchezza: né nel Regolamento, né nel Protocollo, v’è traccia della «valutazione di campo». Si tratta di vera e propria invenzione mediatica, per giustificare l’arbitrio dei direttori di gara. Ciò non di meno, dell’influenza di questa decisione illegittima nessuno si può lamentare, perché nella stessa azione l’Inter ha segnato: quindi, se Doveri, per effetto del (mancato) doveroso intervento del VAR, avesse decretato il rigore, i nerazzurri non avrebbero potuto far gol su punizione. Sostenere il contrario, sarebbe quasi come negare il principio del «ne bis in idem».

Registriamo, allora, la illegittima omissione d’intervento del VAR, una volta a favore del Napoli (peraltro ininfluente sul risultato) e due a favore dell’Inter. Prima della partita, nel settimanale pezzo su Tuttonapoli, invitando gli azzurri a crederci, avevo scritto che, siccome al VAR era stato designato il signor Marini – essendo questi sotto i riflettori, perché l’anno scorso aveva contribuito a orientare illegittimamente la sconfitta del Napoli nella stessa partita –, avrebbe difficilmente potuto ripetersi. Ebbene, ho sbagliato. La verità è che non v’è più il benché minimo pudore. La sfrontatezza, la sfacciataggine, la spregiudicatezza sono assolute e ineguagliabili. Sembra di essere in pieno regime di Stato assoluto, prima di quello di diritto inaugurato dalla Rivoluzione francese: io sono lo Stato e tu devi sottostare. Insopportabile. L’autorità sono io e decido come mi pare. Certo, in un Paese dove i massimi esponenti del Governo pretendono di essere al di sopra della legge, insultando senza ritegno – non un qualunque giudice «toga rossa» – ma la Corte di cassazione a Sezioni Unite, cioè la magistratura cui l’ordinamento assegna, al livello più alto, il compito di garantire il rispetto della legge, non c’è di che meravigliarsi.

Resta da chiedersi, in conclusione, perché mai la S.S.C. Napoli resti silente. Né protestano i giocatori in campo. Non piace che la squadra faccia capannelli. Lo considero un segnale molto significativo: Conte e i ragazzi veramente ci credono (e fanno bene). Non si protesta, perché non ci si vuol mettere il ‘sistema’ contro. Si deve evitare di suscitare la più che sensibile ‘vendicatività’ di chi conta. Ecco perché ci s’inventa il «fuoco amico» che minaccerebbe la serenità dell’ambiente, facendo propria la parola d’ordine dei nordici dispensatori di fango: «vittimismo partenopeo». Si vuole distogliere l’attenzione dal richiamo al doveroso rispetto delle regole. Tra i tanti diktat, la società avrà dato anche questo: non criticare gli arbitri, perché ci si mettono contro. Nella volata finale per lo scudetto, lo capisco pure. Ma m’indigna. Perché – pur senza mai confondere morale e diritto – credo sia giusto pretendere il rispetto della legalità, non sperare nella grazia dei potenti".