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D’Agostino: “Rifiutai il Napoli e in una settimana saltarono Real e Juve! Fu massacrante…”
Una carriera lunghissima in Italia con le maglie - fra le altre - di Roma, Bari, Messina, Udinese e Fiorentina. Ma soprattutto, tanti allenatori ed esperienze da poter raccontare, come ha fatto Gaetano D'Agostino, oggi allenatore, ai microfoni di Radio TV Serie A. L'ex centrocampista parte proprio dai tecnici della sua carriera: "Quando mi chiedono chi è stato l'allenatore più importante per me io dico sempre "Don Fabio". Mi ha insegnato a diventare uomo nello spogliatoio, la disciplina, il rispetto per le autorità. Ricordo che io, Lanzari e i più giovani, quando prendevamo la sacca dei palloni dovevamo contarli, metterli in un punto specifico che voleva lui, lavarli, sia in inverno che in estate, e poi consegnarli ai magazzinieri. Se fosse mancata solo una casacca, saremmo dovuti tornare e ricominciare tutto l'iter daccapo. Queste cose oggi non le vedi più. Nella mia Academy, per dare sempre un esempio ai ragazzi, io sono il primo a caricarsi i palloni sulle spalle. Mi è rimasto quel tipo di insegnamento".
Il centrocampista più forte d'Italia. - "Stagione 07/08, nel 3-4-3, all'Udinese c'eravamo io e Inler, ma anche tanti chilometri da fare. Capii presto che con la fase di costruzione da gestire, non potevo arrivare lucido per finalizzare. L'anno dopo volavamo con Asamoah e Sanchez, proprio nel momento in cui Di Natale si fece male. Ogni mio cambio di gioco, con anche Quagliarella, Floro Flores e Pepe, diventava un'azione offensiva. Lo scenario perfetto per le mie qualità. Avevo l'incarico di battere tutti i piazzati, incluso i rigori senza Totò. E lì esplosi. Però c'è un fatto: non so se quei mesi furono una spinta per andare in nazionale, o fatali per i mancati trasferimenti al Real Madrid e alla Juve. A gennaio avevo un prezzo di mercato di 11 milioni, ma dopo ogni gol la Famiglia Pozzo ne aggiungeva 2. Ricordo che i miei compagni mi dicevano: "Se non la smetti di segnare non ti vendono più". Ma capitavano rigori e punizioni e io la buttavo dentro. Non mi fermavo più. Pensavo: se continuo l'interesse sul mercato per me aumenta. E invece, visto com'è andata, mi sa che avevano ragione i miei compagni".
"Tu rimani qui" - "Nella trattativa con la Juventus il loro DS era Alessio Secco. E con i Pozzo se non hai personalità fai fatica. Loro non abbassano mai le pretese, al massimo le alzano. Diciamo che non scendono mai a compromessi. Fu una telenovela di un mese e mezzo. Le delusioni e gli ostacoli devono rafforzare, invece a me misero mentalmente ko. Dissi di no al Napoli, e in una settimana saltarono Real e Juve. A livello psicologico è uno scenario che massacrerebbe anche i robot. Umanamente la subii tantissimo. Ricordo che ero in ritiro con l'Udinese, a Marino dicevo di non farmi giocare perché volevo andare via. Avevo paura di farmi male. Dopo il passaggio saltato a Torino, ogni occasione era buona perché arrivassero scherzi telefonici del tipo: "Ciao, sono Moggi, vuoi venire alla Juve?". Invece un giorno, mentre giocavo alla PlayStation, squillò il telefono, era Ernesto Bronzetti. Attaccai un attimo dopo, ma lui richiamò dicendo: "Aspetta, ho parlato col tuo avvocato Paolo Rodella, sei pronto per Madrid?". Tra me e me, pensai all'Atletico che non era certo quello di oggi. Ma lui tolse i dubbi: "Al 99,9% vai al Real". Iniziai a sudare, buttai il joystick. Bronzetti continuò: "Sei sposato? Perché Madrid è molto tentatrice e loro amano i calciatori tranquilli, che hanno famiglia". Mi spiegò che la trattativa era in via di definizione, che i biglietti erano pronti e che un charter sarebbe partito alle sei del pomeriggio per portarmi in Spagna. Sembra un paradosso, ma ricordo che in quel momento la mia preoccupazione era una sola: palleggiare al Bernabeu nel giorno della presentazione ufficiale. Aspettavamo l'ok dell'Udinese, ma dopo ore di nulla arrivò a casa mia il presidente Pozzo che scese dalla macchina e mi disse: "Tu rimani qui". Lo guardai e risposi: "E io non gioco"".
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