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Clemente di San Luca a TN: "Commentatori zerbino si mettano in testa che Napoli vuol restare primo!"
Guido Clemente di San Luca, Docente di Giuridicità delle regole del calcio presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Vanvitelli, commenta così il momento del Napoli sulle pagine di Tuttonapoli.net
"Si mettano bene in testa i commentatori-zerbino, ma pure lo stesso mister Conte, che – specie ora che la battaglia si fa più dura – tutti i tifosi azzurri vogliono mantenere il primato. Sono iper-felici di stare dove stanno. E soffrono guardando in funzione azzurra tutte le partite delle altre squadre. Senza voler avanzare alcun suggerimento tecnico (anche se ce ne sarebbero), speriamo ardentemente che il mister – qualunque soluzione scelga per la sfida con la Lazio, vista l’emergenza infortuni (fra parentesi, per evitare di incorrere nel reato di «lesa maestà», non ho visto da alcuno avanzare il dubbio che possa esserci stato qualche errore nella preparazione atletica) – mostri la sua conclamata abilità tattica per portarci alla vittoria. Questo però – dev’essere altrettanto chiaro – non può, né deve, impedire di osservare le cose con sguardo (almeno tendenzialmente) obiettivo.
Ad esempio, io penso a come fare i tre punti con la Lazio molto più visceralmente di tanti adulatori acritici. Provo pure a dare il mio piccolo contributo alla causa, battagliando per la legalità. Ma guai se ciò dovesse implicare appiattimento e acriticità. Saremmo alle soglie del totalitarismo. Rivendico il diritto di manifestare i miei pensieri e sentimenti (azzurri in modo cristallino, e perciò rigorosamente anti-juventini), e non soltanto perché sono abbonato da più di cinquant’anni.
In proposito mi rivolgo, affettuosamente, ai fratelli delle curve. Non credo di dover ricordare che mi sono sempre schierato a fianco degli ultras (naturalmente mai giustificando eventuali comportamenti illeciti). Ho scritto che l’equazione ultras=delinquente è falsa (più o meno come la presunzione di buona fede di uno juventino). A gran voce e più volte ho rappresentato che essi costituiscono l’anima più vera ed autentica del tifo, evidenziando quanto siano indispensabili, a Napoli specialmente, per mantenere lo stadio vitale. Ho criticato aspramente il perbenismo benpensante. Tuttavia, nessuno può pensare di detenere il monopolio del tifo ed impartire lezioni. Ognuno è libero di tifare come crede, anche il sostenitore «occasionale».
L’incoerenza, purtroppo, è attitudine molto diffusa. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. La «compattezza d’ambiente» richiede anche il contributo degli «occasionali». Altrimenti chi trascinerebbero i canti delle curve? Soprattutto, la «compattezza» non implica affatto il silenziamento delle voci non omologate. È noto che la significatività di qualunque fenomeno sociale richiede la presenza di una «massa critica». Se si parla di «fuoco amico», perciò, è solo perché si preferisce sposare superficialità ed incultura, e, soprattutto, rinunciare ad aspirare che vengano chiarite le opacità. Allora, mister Conte – è molto semplice –, se vuole veramente agevolare quella compattezza, si manifesti pienamente consapevole di ciò che significa allenare il Napoli. Fa bene a denunciare la disparità di trattamento dei tifosi in trasferta (che però dipende dall’ordinamento generale, non da quello del calcio). Ma non sia così timido. Prenda chiaramente le distanze dalla ‘cultura juventina’. Diversifichi nei contenuti le sue osservazioni sul ‘sistema arbitrale’ da quelle biecamente e miseramente utilitaristiche dei suoi colleghi. Lo aspettiamo con gioia speranzosa.
2. Dopo le reiterate polemiche sulle ultime clamorose decisioni illegittime di arbitri e VAR, un carissimo amico, e collega raffinato, mi ha esortato a non mollare: «Dal tuo pulpito, continua a tuonare. Gutta cavat lapidem!». Ci provo, per quel pochissimo che conta. Il principale vizio delle discussioni rimbalzate sui – e riprese dai – media è la stupefacente ignoranza della distinzione fra ‘regolazione’ e ‘applicazione delle regole’. Gli arbitri non sono regolatori. Non possono fare le regole. A SKY ho finalmente sentito Caressa far riferimento all’ordinamento giuridico, mostrando però di non sapere bene di che si tratta. Perché continua a chiedere a Rocchi cose sbagliate. Al designatore si deve chiedere conto degli errori di arbitri e VAR, delle decisioni illegittime da essi assunte. Non gli si può domandare quali siano le regole. Le regole sono quelle scritte, e non dall’AIA. Rocchi non è un regolatore. Non gli compete definire le fattispecie fallose. Né può dettare indirizzi per ridurre i «rigorini». Quindi, un conto è discutere della necessità di modificare le regole, ben altro di pretendere che quelle vigenti vengano fatte rispettare equamente, senza arbìtri.
Il ‘sistema arbitrale’, nel suo complesso, è dotato soltanto di capacità di applicazione esecutiva delle regole, non può dettarle. Arbitri e VAR hanno spazio discrezionale solo entro i limiti definiti dalle regole, che sono norme giuridiche e vanno interpretate come tali, non come lo si fa al bar sport. Nel Regolamento non v’è traccia di «metro di giudizio», «valutazione di campo», «intensità del contatto», «rigorini». Queste sono tutte arbitrarie invenzioni del ‘sistema arbitrale’, con il malcelato scopo di aumentare a dismisura lo spazio valutativo di arbitri e VAR.
Si riempiono la bocca dicendo di voler combattere la mancanza di uniformità. Ebbene, l’unico modo per conseguirla è ridurre al minimo indispensabile lo spazio di valutazione degli arbitri. E tutti coloro (allenatori, giornalisti, ex giocatori ed ex arbitri divenuti commentatori) che affermano che «questo non è più calcio», che era «meglio prima, senza il VAR», e così via, amplificano di fatto (non so fino a che punto consapevolmente) la confusione. Quando dicono «ai miei tempi questo si poteva fare», mentono. Perché quegli interventi sarebbero stati falli anche allora. Solo che gli arbitri fischiavano secondo il loro libero arbitrio, favorendo di volta in volta chi volevano beneficiare. Oggi non è più possibile. Meglio, si deve usare il condizionale: non lo sarebbe. Perché adoperano tutti gli argomenti possibili per far sì che il ‘sistema arbitrale’ si riappropri di uno spazio che le regole non gli danno.
Qualche esempio fra gli ultimi episodi. Il rigore correttamente assegnato alla Roma a Venezia, o quello all’Atletico Madrid nel derby col Real, sono stati dati per interventi pressoché identici a quello per cui è stato negato a Politano la domenica precedente (con annessa grottesca ammonizione per simulazione). E lo giustificano con la valutazione dell’arbitro. Vergognoso, more solito, il commento dei presunti esperti: «certamente non c’è simulazione, ma è troppo poco per un calcio di rigore». Ignoranza e contraddittorietà sfuse e a pacchetti. Il fallo di Cacace su Walker in Empoli-Milan è «vigoria sproporzionata» senza discussione, basta leggere la Regola 12. Nella stessa partita, Tomori interviene in maniera «imprudente», non «negligente»: il giallo è inopinabile. Ad arbitri e VAR la norma attribuisce un circoscritto margine di interpretazione. Dall’audio mandato in onda, si è capito che in Como-Juventus tra VAR e AVAR c’è stato disaccordo sul fallo di mano di Gatti: stando al Protocollo, il VAR aveva il dovere giuridico di chiamare l’arbitro alla review. E invece… Fabregas, che finora non l’aveva mai fatto, ha cominciato a lamentarsi. Proprio adesso, guarda un po’. Chi hanno in casa alla prossima? Godiamoci il viaggio, sì, ma mettiamo nel conto che sarà costellato dalle schifezze.
Seguendo questa strada, l’uniformità è speranza più vana di un’utopia. È di tutta evidenza la fortissima resistenza della classe arbitrale a soggiacere al dovere di imparzialità. Ma perché si fa finta di non sapere che questa materia è diventata disciplina universitaria?".
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