Clemente di San Luca a TN: "La valutazione soggettiva il pericolo in tema arbitrale"
Guido Clemente di San Luca, Ordinario di Diritto Amministrativo all'Università della Campania Luigi Vanvitelli, commenta così la sempre delicata questione arbitrale.
Fermo restando che nessuna censura può aversi nei confronti dell’opinione dissenziente (vero e proprio fulcro dello Stato di diritto democratico), nondimeno è doveroso interrogarsi sul perché si dia così tanto spazio pubblico alla manifestazione di quelle ignoranti. Il dilettantismo – per la palese mancanza di conoscenza delle regole di cui discutono – dell’insieme pressoché integrale dei commentatori del calcio, soprattutto in TV, è veramente sconcertante.
Nell’osservare ed ascoltare quanto affermano senza pudore i vari Marelli, Tardelli, Ferrari, Casarin, e i tanti altri ex calciatori e allenatori che ‘occupano’ gli spazi di commento del calcio alla radio o in TV, si ha la netta sensazione che essi siano del tutto privi delle nozioni giuridiche di base per poter ragionare ed esprimersi sulle regole del calcio. Se così non fosse, andrebbero considerati quali esponenti di una vera e propria associazione eversiva, avente, cioè, come scopo (praticamente esplicito) l’istigazione alla violazione delle norme, la promozione della illegalità.
Il grimaldello per scassinare la legalità è senza dubbi la costante invocazione, a sproposito, della «valutazione soggettiva». Intendiamoci. Nessuno può negare che in numerose fattispecie concrete sia indispensabile l’interpretazione del fatto ad opera del direttore di gara. È tuttavia inaccettabile ritenere che la ‘valutazione soggettiva’ sia in grado di consentire il superamento della prescrizione normativa. È ciò che accade quando telecronisti e opinionisti giustificano i mancati interventi sanzionatori dell’arbitro per interventi fallosi con frasi del tipo «s’è capito che è questo il metro di giudizio che ha assunto», oppure «è un intervento troppo ‘leggero’ per essere considerato falloso». Usciamo da un equivoco non più tollerabile: un intervento o è falloso, o non lo è. Un arbitro può sbagliare nella rilevazione del fatto, perché non è infallibile (e in questi casi, nelle fattispecie previste dal Protocollo, è giuridicamente doveroso, non discrezionale, l’intervento del VAR). Ma non può praticare una sua propria personale modalità di conformarsi alla regola, fino a svuotare il dettato di questa.
Facciamo qualche esempio recente. a) Il gol dell’1 a 2 del Milan, nella finale di Supercoppa, nasce da una punizione che non avrebbe dovuto essere decretata, preceduta com’era da un non discutibile fallo di Morata su Asllani. In quel caso, stando al Protocollo, il VAR non poteva intervenire, ma è inopinabile che quel gol nasce da un intervento illegittimo non rilevato per errore di Sozza (errore non emendabile stando alle regole vigenti). b) Il rigore negato da Fabbri al Milan contro la Roma per fallo di Pisilli su Reijnders era solare e indubitabile, ma il VAR ha illegalmente omesso di intervenire per rimediare all’errore dell’arbitro. c) Ancor più clamoroso e, per certi versi, grottesco l’episodio di Parma-Monza. Birindelli trattiene Camara in area e La Penna decreta rigore per il Parma. Una decisione (stranamente) ineccepibile, ma, per intervento del VAR, l’arbitro va alla review e la cambia. Ben può dirsi, questa, la massima espressione della nefandezza.
La spregiudicatezza del modo di agire degli esponenti dell’AIA (e accoliti) è dimostrata dalla disinvoltura con cui hanno smentito la loro stessa parola d’ordine – tanto sciocca quanto ‘eversiva’ – della «valutazione di campo». Che, cioè, il VAR sia impossibilitato a intervenire, non potendo mettersi in discussione la (perciò prevalente) valutazione effettuata dall’arbitro sul campo. Una assoluta ‘invenzione’ regolamentare, letteralmente. Avente lo scopo palese di rinsaldare la sovranità assoluta del direttore di gara, anche laddove abbia commesso un errore. Eppure, stavolta la ‘valutazione di campo’ era stata corretta. La decisione è stata modificata illegittimamente (la trattenuta di Birindelli è indiscutibile, per regolamento essendo del tutto irrilevante la sua entità, opinabile per definizione), e – quel che più conta – dopo una review generata da un intervento VAR che, secondo la loro stessa invenzione regolamentare (del tutto arbitraria), avrebbe dovuto considerarsi illegittimo.
Invece, d’un tratto scopriamo adesso che il VAR «Può intervenire sempre. Non c’è una regola che ti dice quando intervenire». Lo ha dichiarato Rocchi, negando senza pudore quanto hanno sostenuto sin qui. Accompagnando la dichiarazione con frasi che, per la evidente intrinseca contraddittorietà, si commentano da sé: «È un’interpretazione che usiamo, quello di Parma non può essere rigore, tocco leggero e piega le gambe, è più vicino alla simulazione e l’intervento è corretto. Inter-Napoli live avrei detto rigore anche io, rivisto è discutibile ma le cose discutibili non sono materia da VAR. Chiaro ed evidente errore è per togliere gli errori macroscopici. Anche io avrei dato il rigore live, l’arbitro è posizionato bene ma non significa niente per il VAR. Per noi non è una decisione su cui deve intervenire». Quali siano le differenze tra i due episodi lo sa solo Iddio. In realtà, sono tutti e due rigori indiscutibili, a meno di non voler aumentare lo spazio di arbìtrio dell’arbitro oltre il dettato normativo.
Per legittimare le palesi violazioni delle regole, la tesi di gran parte di lor signori è che esistano due realtà: una di campo e l’altra dalla TV. Lo si sente ripetere spesso. Ammettendo pure, per assurdo, che l’assunto sia accettabile, si può affermare che sul campo ci sia unanimità di lettura del fatto? È chiaro che non sia così: chi è dell’una squadra ‘valuta’ diversamente da chi è dell’altra, e l’arbitro vede l’episodio in maniera o corretta o erronea (nel qual caso avendo avuto una inesatta percezione della realtà). Non si tratta perciò di due diverse realtà, ma della diversa percezione di un’unica e sola realtà. La realtà oggettiva che si osserva nei replay televisivi, che non è quella soggettivamente percepita dall’arbitro.
Del resto, il designatore della CAN, nel fare un bilancio della prima parte della stagione, in un’intervista a Radio 1, ha reso senza ritegno alcune dichiarazioni sintomatiche del loro ritenersi sovrani assoluti. Legibus soluti. «I cosiddetti ‘rigorini’? È chiaro che sono quei rigori che noi stiamo cercando di combattere». Sì, ma chi qualifica i ‘rigorini’? «Però, specialmente nelle ultime giornate, siamo tornati a dare quelli giusti. L’importante è fischiare un rigore quando c’è qualcosa di importante, perché può decidere il risultato». Ancora, ma chi stabilisce quando ci sarebbe ‘qualcosa di importante’? «Il Var deve essere usato solo per episodi chiari e seri. Non dobbiamo fare moviola». Cioè? Il VAR deve intervenire o no se il fatto – a prescindere dalla sua qualificazione giuridica – è stato erroneamente rilevato dall’arbitro? «Credo che noi dobbiamo lavorare cercando di costruire ragazzi di fronte al monitor, che siano capaci di decidere, di scegliere […] quando un episodio è chiaramente errato o no». Ma cos’altro, se non la regola, definisce se un intervento sia o no falloso?
La impermeabilità del ‘sistema’ arbitrale alla legalità è confermata dall’intervista rilasciata a La Stampa nello stesso giorno (il 27 dicembre) da Rosetti (capo della divisione arbitrale della UEFA). Per un verso, ha dispensato varie corbellerie de jure condito («Il gioco del calcio […] vive di dinamiche e imprevedibilità, di interpretazioni soggettive delle regole»; «per noi il rigore è qualcosa di serio: che comporta una chiara azione fallosa commessa dal difensore»): come se fossero loro, e non le regole, a definire i falli. Condite con una dichiarazione apparentemente virtuosa («Spegnere il VAR è impensabile»), ma in realtà contraddittoria (perché fanno tutto fuorché lavorare «in modo ossessivo per garantire l’uniformità dell’applicazione delle regole»). Per altro verso, s’è pronunciato de jure condendo contro il VAR a chiamata ed il tempo effettivo, con riguardo a quest’ultimo esprimendo un concetto palesemente falso: «il tempo effettivo non si sposa con i tempi del calcio». In nessuna partita si giocano più di 60 minuti. Basterebbe ridurre le due frazioni da 45 a 30 minuti: la partita durerebbe nei fatti lo stesso tempo, ma senza insopportabili arbìtri nell’assegnazione del recupero. Un potere che non vogliono perdere. Ha formulato, infine, un auspicio. «L’arbitro dovrebbe dirigere da pubblico ufficiale per tutta la durata della gara».
Sarebbe proprio bello se la legge lo prevedesse. Da pubblici ufficiali potrebbero essere più facilmente perseguibili penalmente per frode sportiva. E questo sì che opererebbe veramente nella direzione di garantire l’uniformità nell’applicazione delle regole.