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Mastour: "Ho ricevuto chiamate dalla Serie A. Obiettivi? Tornare a giocare a San Siro"
Hachim Mastour nelle scorse settimane ha accettato l'offerta della FC Zeta di Brocchi ed è approdato in Kings League. Intervistato da Radio Serie A, l'ex calciatore delle giovanili del Milan ne ha parlato così: "Mi ha chiamato la squadra ZW Jackson di mister Brocchi. Una chiacchierata con lui e mi sono convinto a iniziare questa nuova avventura. Mi ha capito, abbiamo un legame incredibile già dai tempi del Milan. Saremo di nuovo insieme, voglio divertirmi che è la cosa che più conta. Anche se diverso dal calcio a undici, la preparazione e l'adrenalina ti danno quegli input del calcio vero. La Kings è una cosa fresca, ritrovare ritmo e situazioni di gioco mi entusiasma".
Ci parli un po' di lei.
"Sono un ragazzo come tutti, che ha iniziato a giocare quando aveva 4 anni. Andavo all'asilo, ogni volta che vedevo uno stadio dicevo a papà che volevo provarci. Poi allo stadio mi ci ha portato e da lì è iniziato il mio sogno".
Qualcuno un tempo le disse: "Tra due anni sarà in Serie A".
"Quelle parole del presidente Berlusconi mi diedero gioia, ancora più fuoco dentro. Io poi la pressione la amo, se non è così non puoi fare questo sport. Ero un adolescente, ma vissi quelle sue dichiarazioni con grande positività".
Lei ha conosciuto anche Neymar.
"Un giorno ci sfidammo in una challenge di trick. Non ci credevo, fu un sogno. Tuttora è il mio idolo, è quello in cui mi identifico di più in assoluto. Ricordo che prese un aereo privato e venne apposta per fare questa gara, una roba assurda. I suoi applausi, sentirgli dire: 'Oh sei veramente forte'. Mi vennero i brividi".
Qualche anno fa lei era considerato una macchina da soldi.
"Ai tempi ero visto così, un prodotto. La mia persona si era un po' persa. Avevo vicino persone che hanno lavorato con me e che ringrazio per ciò che hanno fatto. Poi però abbiamo intrapreso percorsi diversi perché a me piacciono i valori umani, separare la persona dal professionista e questo si era assolutamente perso. Direi che nel mio percorso tutto questo ha inciso. Quando diventa solo lavoro, quando queste persone non traggono più beneficio da te e finiscono per non guardarti neanche più in faccia, diventa veramente molto triste. Però lasciare il calcio non è mai stato nei miei pensieri, gli ostacoli vanno superati, ti devono insegnare qualcosa. L'accettazione e l'apprendimento porta alla maturazione. Questo conta, perché in fondo non bisogna dimostrare niente a nessuno".
Che cosa l'ha aiutata?
"Ero entrato in quel meccanismo nel quale i pensieri ti portano in una frequenza negativa. Attraevo le negatività. La religione mi ha salvato e ripulito, mi ha regalato la chiarezza nella mente perché tutto parte dal pensiero. L'avvicinamento a Dio è stato molto importante e credere nel destino, in ciò che Dio ha per te, ti toglie quella pressione di dosso.
Che ricordi ha di San Siro?
"Ricordo di esserci andato per la prima volta in un Milan-Barcellona di Champions League, stadio full, atmosfera devastante, da brividi stare sugli spalti, figuriamoci per loro che erano in campo. I tifosi milanisti sono fantastici".
Sfiorò l'esordio a San Siro.
"18 maggio 2014, l'addio di Kakà, era tutto pronto per il mio debutto e avrei superato il record di precocità di una leggenda come Maldini. Con Ricky avevo un grande feeling, era il mio fratello maggiore, mi accolse sotto la sua ala. Sapere che il mio inizio era la sua fine, fu ancora più emozionante. Era domenica, dormii in ritiro a Milanello e a colazione era una festa, dal team manager allo chef. I miei compagni erano tutti felici ed entusiasti, stavo per scrivere la storia del Milan. Arriviamo allo stadio, sul quel pullman pieno di campioni. E poi l'ingresso in campo, lo speaker che annuncia il mio nome. Bellissimo. Sentivo le voci dagli spalti, tutti quanti volevano facessi l'esordio. Ricordo Balotelli che disse a Seedorf: 'Ma fai entrare lui'. Invece con l'espulsione di Mexes i piani cambiarono. Sliding door, quante volte ci ho pensato, ma con il tempo l'ho accettato. Porto con me tutte le vibes positive di quel giorno. Ci sarà modo di giocare a San Siro? Il mio sogno è questo, anzi è il mio obiettivo: tornarci".
Che ricordi ha della sua esperienza in prima squadra? Si parla tanto di una gara contro i Blancos.
"Quell'amichevole a Dubai contro il Real Madrid mi segnò. Toccai con mano chi erano i Galacticos. Bale, Kroos, Modric. Vedere Cristiano Ronaldo scaldarsi a due metri da me fu devastante. Giocarci contro, andare a contrasto, wow. James Rodriguez mi diede la sua maglia: mi conosceva e mi seguiva, perciò per me ebbe un valore doppio. La conservo con cura. In pre-season giocammo anche contro il Liverpool. Coutinho si avvicinò, mi disse che si ricordava di me ai tempi dell'Inter, io un ragazzino e lui in prima squadra dove si parlava già di me. Anche lui mi diede la maglia, mi rese felice".
Come reagivano alle sue giocate gli avversari e i compagni?
"Da parte degli altri ho vissuto situazioni di fastidio per le mie giocate, ma anche di rispetto in allenamento. Il mio gioco non era volto a deridere l'avversario, era semplicemente un modo di esprimersi, finalizzato a saltare l'uomo. Il senatore, l'esperto, lo avvertiva come presa in giro, ma non è mai stato così, non era quella l'intenzione. Magari dovevo portare più rispetto, ma ero giovane e non ci pensavo, andavo più d'istinto e perciò spesso mi riprendevano. Molte volte non mi parlavano neanche, entravano da dietro per darmi la botta. Diciamo che li sentivo molto da vicino. Sono step, capii cosa vuol dire giocare con i big".
Il fantasista oggi non c'è più.
"Il mio modo di giocare era fondato sulla fantasia, il numero dieci oggi si è un po' perso. Quando approdai nella prima squadra del Milan si faceva fatica a trovare un trequartista nelle varie rose. Il calcio è cambiato. Essendo uno sport sempre più corale, più tattico, capitava di sentirmi dire che giocavo solo per me stesso. Ma lo so, il calcio è uno sport di squadra che è l'essenza perché risalti la proposta e l'idea di un allenatore".
Qualcuno le fece un complimenti dicendo che era un mix tra Kakà, Robinho e Balotelli.
"Lo disse Allegri: le qualità del primo e la testa del secondo, con le doti di Balotelli. Lui è un grandissimo allenatore, ha un occhio diverso dagli altri e perciò il fatto che abbia detto questo su di me è tuttora motivo d'orgoglio. Tanti invece mi hanno messo l'etichetta di persona non giusta, che non si allena bene, poco professionale, dal brutto carattere e dalla brutta famiglia. Certe persone se la sono legata al dito e volevano solo infangarmi. E in questo mondo il passaparola è molto veloce".
Che ricordi ha dei suoi allenatori?
"Brocchi invece ricordo che non vedeva l'ora di portarmi in primavera ed è stato bellissimo giocare con lui. Facemmo un torneo insieme in Sudafrica, mi ha sempre spronato come Gattuso. Di lui raccontarono che mi disse: 'Se non la smetti con i video sui social ti butto giù i denti', ma non è vero. Frasi strumentalizzate, assolutamente false, non è mai stato aggressivo con me. Era solo il suo essere Gennaro Gattuso. Inzaghi l'ho avuto dal settore giovanile. Quando lo catapultarono in prima squadra, la sua visione di calcio non si sposava con le mie caratteristiche. Ho rispettato le sue scelte".
Sente ancora qualcuno del Milan dei suoi tempi?
"Ho dei bei rapporti con Leao, Calabria e Locatelli. Con il senatore Galliani qualche volta ci sentiamo e per questo lo ringrazio. Non è vero che non sento più nessuno, certo magari meno rispetto a prima. Io e Rafa siamo entrambi giocatori fantasiosi, di estro. Ricordo che metteva già qualche like alle mie foto, mi seguiva e mi scrisse di essere cresciuto con i miei video. Ora invece io guardo lui, quando vengo a Milano capita che ci vediamo. Nel mio ultimo anno al Milan legai tanto anche con Calhanoglu. Dopo gli allenamenti stavamo insieme, andavo spesso a casa sua. È una grandissima persona, oltre che un gran calciatore".
Ha avuto qualche richiesta?
"Ultimamente ne ho avuto tante. Dagli Emirati Arabi, dal Qatar, ma anche dall'Europa. Io volevo tornare in Italia e sono arrivate chiamate pure dalla Serie A. Ovviamente quella di mister Brocchi potrebbe aprire strade importanti. Non ho mai giocato a calcio per soldi e io sento di avere ancora il fuoco dentro. Il mio è un obiettivo forte, andare sotto la curva dopo aver fatto gol, la cosa più bella. Sono e mi sento pronto, se qualcuno ha voglia di riscrivere una storia importante, sono qui. Non vedo l'ora. La testa c'è sempre stata, così come anche una serie di avvenimenti nel mio percorso che ho accettato, altrimenti non sarei quello che sono oggi. L'uomo viene prima del calciatore per il quale, prima o poi, arriva una fine".
Com'è che fu affiancato a Pulisic?
"C'eravamo io, lui e altri 48 nella lista stilata dal The Guardian dei migliori calciatori in Europa nati dopo il 98'. Ognuno ha fatto il suo percorso, chi è riuscito ad arrivare deve anche mantenere con i denti la propria posizione. Un cammino affascinante ma, chissà, magari un giorno con Pulisic ci giocherò contro, o addirittura insieme" .
Dove andrà a giocare in futuro?
"Credo nel destino, ma anche nelle nostre azioni che possono cambiarlo. Nella mia religione si dice aiutati che Dio ti aiuta. Il destino è lì, ma tu devi andarlo a prendere. Io sono contento di quello che sono, ma voglio ancora crescere tanto a livello umano e professionale. Non ho obiettivi futuri, voglio solo godermi il presente senza guardarmi troppo alle spalle. Non penso ad altro che non sia giocare a calcio. Corro verso questo obiettivo. Ma una cosa la so: la mia storia non è ancora finita".
Ci parli un po' di lei.
"Sono un ragazzo come tutti, che ha iniziato a giocare quando aveva 4 anni. Andavo all'asilo, ogni volta che vedevo uno stadio dicevo a papà che volevo provarci. Poi allo stadio mi ci ha portato e da lì è iniziato il mio sogno".
Qualcuno un tempo le disse: "Tra due anni sarà in Serie A".
"Quelle parole del presidente Berlusconi mi diedero gioia, ancora più fuoco dentro. Io poi la pressione la amo, se non è così non puoi fare questo sport. Ero un adolescente, ma vissi quelle sue dichiarazioni con grande positività".
Lei ha conosciuto anche Neymar.
"Un giorno ci sfidammo in una challenge di trick. Non ci credevo, fu un sogno. Tuttora è il mio idolo, è quello in cui mi identifico di più in assoluto. Ricordo che prese un aereo privato e venne apposta per fare questa gara, una roba assurda. I suoi applausi, sentirgli dire: 'Oh sei veramente forte'. Mi vennero i brividi".
Qualche anno fa lei era considerato una macchina da soldi.
"Ai tempi ero visto così, un prodotto. La mia persona si era un po' persa. Avevo vicino persone che hanno lavorato con me e che ringrazio per ciò che hanno fatto. Poi però abbiamo intrapreso percorsi diversi perché a me piacciono i valori umani, separare la persona dal professionista e questo si era assolutamente perso. Direi che nel mio percorso tutto questo ha inciso. Quando diventa solo lavoro, quando queste persone non traggono più beneficio da te e finiscono per non guardarti neanche più in faccia, diventa veramente molto triste. Però lasciare il calcio non è mai stato nei miei pensieri, gli ostacoli vanno superati, ti devono insegnare qualcosa. L'accettazione e l'apprendimento porta alla maturazione. Questo conta, perché in fondo non bisogna dimostrare niente a nessuno".
Che cosa l'ha aiutata?
"Ero entrato in quel meccanismo nel quale i pensieri ti portano in una frequenza negativa. Attraevo le negatività. La religione mi ha salvato e ripulito, mi ha regalato la chiarezza nella mente perché tutto parte dal pensiero. L'avvicinamento a Dio è stato molto importante e credere nel destino, in ciò che Dio ha per te, ti toglie quella pressione di dosso.
Che ricordi ha di San Siro?
"Ricordo di esserci andato per la prima volta in un Milan-Barcellona di Champions League, stadio full, atmosfera devastante, da brividi stare sugli spalti, figuriamoci per loro che erano in campo. I tifosi milanisti sono fantastici".
Sfiorò l'esordio a San Siro.
"18 maggio 2014, l'addio di Kakà, era tutto pronto per il mio debutto e avrei superato il record di precocità di una leggenda come Maldini. Con Ricky avevo un grande feeling, era il mio fratello maggiore, mi accolse sotto la sua ala. Sapere che il mio inizio era la sua fine, fu ancora più emozionante. Era domenica, dormii in ritiro a Milanello e a colazione era una festa, dal team manager allo chef. I miei compagni erano tutti felici ed entusiasti, stavo per scrivere la storia del Milan. Arriviamo allo stadio, sul quel pullman pieno di campioni. E poi l'ingresso in campo, lo speaker che annuncia il mio nome. Bellissimo. Sentivo le voci dagli spalti, tutti quanti volevano facessi l'esordio. Ricordo Balotelli che disse a Seedorf: 'Ma fai entrare lui'. Invece con l'espulsione di Mexes i piani cambiarono. Sliding door, quante volte ci ho pensato, ma con il tempo l'ho accettato. Porto con me tutte le vibes positive di quel giorno. Ci sarà modo di giocare a San Siro? Il mio sogno è questo, anzi è il mio obiettivo: tornarci".
Che ricordi ha della sua esperienza in prima squadra? Si parla tanto di una gara contro i Blancos.
"Quell'amichevole a Dubai contro il Real Madrid mi segnò. Toccai con mano chi erano i Galacticos. Bale, Kroos, Modric. Vedere Cristiano Ronaldo scaldarsi a due metri da me fu devastante. Giocarci contro, andare a contrasto, wow. James Rodriguez mi diede la sua maglia: mi conosceva e mi seguiva, perciò per me ebbe un valore doppio. La conservo con cura. In pre-season giocammo anche contro il Liverpool. Coutinho si avvicinò, mi disse che si ricordava di me ai tempi dell'Inter, io un ragazzino e lui in prima squadra dove si parlava già di me. Anche lui mi diede la maglia, mi rese felice".
Come reagivano alle sue giocate gli avversari e i compagni?
"Da parte degli altri ho vissuto situazioni di fastidio per le mie giocate, ma anche di rispetto in allenamento. Il mio gioco non era volto a deridere l'avversario, era semplicemente un modo di esprimersi, finalizzato a saltare l'uomo. Il senatore, l'esperto, lo avvertiva come presa in giro, ma non è mai stato così, non era quella l'intenzione. Magari dovevo portare più rispetto, ma ero giovane e non ci pensavo, andavo più d'istinto e perciò spesso mi riprendevano. Molte volte non mi parlavano neanche, entravano da dietro per darmi la botta. Diciamo che li sentivo molto da vicino. Sono step, capii cosa vuol dire giocare con i big".
Il fantasista oggi non c'è più.
"Il mio modo di giocare era fondato sulla fantasia, il numero dieci oggi si è un po' perso. Quando approdai nella prima squadra del Milan si faceva fatica a trovare un trequartista nelle varie rose. Il calcio è cambiato. Essendo uno sport sempre più corale, più tattico, capitava di sentirmi dire che giocavo solo per me stesso. Ma lo so, il calcio è uno sport di squadra che è l'essenza perché risalti la proposta e l'idea di un allenatore".
Qualcuno le fece un complimenti dicendo che era un mix tra Kakà, Robinho e Balotelli.
"Lo disse Allegri: le qualità del primo e la testa del secondo, con le doti di Balotelli. Lui è un grandissimo allenatore, ha un occhio diverso dagli altri e perciò il fatto che abbia detto questo su di me è tuttora motivo d'orgoglio. Tanti invece mi hanno messo l'etichetta di persona non giusta, che non si allena bene, poco professionale, dal brutto carattere e dalla brutta famiglia. Certe persone se la sono legata al dito e volevano solo infangarmi. E in questo mondo il passaparola è molto veloce".
Che ricordi ha dei suoi allenatori?
"Brocchi invece ricordo che non vedeva l'ora di portarmi in primavera ed è stato bellissimo giocare con lui. Facemmo un torneo insieme in Sudafrica, mi ha sempre spronato come Gattuso. Di lui raccontarono che mi disse: 'Se non la smetti con i video sui social ti butto giù i denti', ma non è vero. Frasi strumentalizzate, assolutamente false, non è mai stato aggressivo con me. Era solo il suo essere Gennaro Gattuso. Inzaghi l'ho avuto dal settore giovanile. Quando lo catapultarono in prima squadra, la sua visione di calcio non si sposava con le mie caratteristiche. Ho rispettato le sue scelte".
Sente ancora qualcuno del Milan dei suoi tempi?
"Ho dei bei rapporti con Leao, Calabria e Locatelli. Con il senatore Galliani qualche volta ci sentiamo e per questo lo ringrazio. Non è vero che non sento più nessuno, certo magari meno rispetto a prima. Io e Rafa siamo entrambi giocatori fantasiosi, di estro. Ricordo che metteva già qualche like alle mie foto, mi seguiva e mi scrisse di essere cresciuto con i miei video. Ora invece io guardo lui, quando vengo a Milano capita che ci vediamo. Nel mio ultimo anno al Milan legai tanto anche con Calhanoglu. Dopo gli allenamenti stavamo insieme, andavo spesso a casa sua. È una grandissima persona, oltre che un gran calciatore".
Ha avuto qualche richiesta?
"Ultimamente ne ho avuto tante. Dagli Emirati Arabi, dal Qatar, ma anche dall'Europa. Io volevo tornare in Italia e sono arrivate chiamate pure dalla Serie A. Ovviamente quella di mister Brocchi potrebbe aprire strade importanti. Non ho mai giocato a calcio per soldi e io sento di avere ancora il fuoco dentro. Il mio è un obiettivo forte, andare sotto la curva dopo aver fatto gol, la cosa più bella. Sono e mi sento pronto, se qualcuno ha voglia di riscrivere una storia importante, sono qui. Non vedo l'ora. La testa c'è sempre stata, così come anche una serie di avvenimenti nel mio percorso che ho accettato, altrimenti non sarei quello che sono oggi. L'uomo viene prima del calciatore per il quale, prima o poi, arriva una fine".
Com'è che fu affiancato a Pulisic?
"C'eravamo io, lui e altri 48 nella lista stilata dal The Guardian dei migliori calciatori in Europa nati dopo il 98'. Ognuno ha fatto il suo percorso, chi è riuscito ad arrivare deve anche mantenere con i denti la propria posizione. Un cammino affascinante ma, chissà, magari un giorno con Pulisic ci giocherò contro, o addirittura insieme" .
Dove andrà a giocare in futuro?
"Credo nel destino, ma anche nelle nostre azioni che possono cambiarlo. Nella mia religione si dice aiutati che Dio ti aiuta. Il destino è lì, ma tu devi andarlo a prendere. Io sono contento di quello che sono, ma voglio ancora crescere tanto a livello umano e professionale. Non ho obiettivi futuri, voglio solo godermi il presente senza guardarmi troppo alle spalle. Non penso ad altro che non sia giocare a calcio. Corro verso questo obiettivo. Ma una cosa la so: la mia storia non è ancora finita".
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