
Dal rigore con maledetta a Buffon alla sicurezza pre Atene: Nesta racconta il suo Milan
Lunga chiacchierata tra Alessandro Nesta e Luca Toni sul canale YouTube di Prime Video Sport. Lo storico difensore centrale, oggi allenatore del Monza, ha parlato lungamente anche del suo periodo in rossonero. Le sue dichiarazioni:
Sull’addio al calcio: “Sono andato a Montreal in MLS. Dopo che ho smesso lì dopo 6-7 mesi mi ha chiamato Materazzi, che faceva l’allenatore-giocatore in India. Si metteva trequartista, la tattica era fiondata su di lui con gli altri che partivano sulla spizzata”.
L’addio al Milan: “Ho detto basta dopo che mi sono operato e prendevo due voltaren al giorno, ero fritto. Il corpo cominciava a dirmi basta. L’anno prima avevo fatto le due partite col Barcellona con Messi, le avevo portate a casa non so come. L’anno dopo mi dicevo che se avessi beccato un altro così mi avrebbe sfondato, quindi ho detto che era ora. Il Milan mi aveva proposto un altro anno di contratto, io ho detto di no. Io sono un difensore e devo correre dietro la gente e quindi me ne sono reso conto che era ora, gli attaccanti fanno più fatica a capirlo”.
Avevi già l’idea di andare all’estero? “Avevo già pronto tutto per andare in Canada. Non ero pronto per smettere totalmente mentalmente, da 100 a 0 è difficile per me. Il problema è quando ho smesso veramente, lì sono andato giù mentalmente. Dopo l’India ho detto basta. Poi sono andato a Miami con mia moglie, ci siamo rimasti per 10 anni. Avevo già casa, ci andavo d’estate e mi piaceva. Ma sono stato talmente tanto sul divano che sono rimasto giù mentalmente, lo ammetto. Io ho sofferto proprio, tutti i giorni erano uguali: mia moglie mi portata ai Caraibi, albergo super e io dopo un giorno volevo andare via. Mia moglie non mi ha cacciato di casa perché mi vuole bene, una santa. Allora mi sono detto che dovevo rimettermi in gioco. Non avevo più l’adrenalina, mi mancava la competizione. Depressione grossa no, ma rompevo le scatole in casa. Tra un po’ anche il cane me lo diceva. Avevo bisogno di tornare nel calcio e l’unico modo per farlo era da allenatore. Da dirigente no, non mi piace. Sono un uomo di campo, devo cercare di incidere ogni domenica. È un percorso che farò e che magari mi porterà da qualche parte. È più bello giocare, ma poi mi ha preso e ti sale l’adrenalina, cambi mentalità”.
Nesta e Maldini, che coppia in difesa… “Ci avevo già giocato insieme in Nazionale, poi sono andato al Milan. È il più forte difensore in assoluto per qualità fisica e mentale. Sbagliava anche lui, pochissimo, ma quando sbagliava non lo intaccava per niente. Sempre sul pezzo, parlava poco. Il migliore del calcio mondiale. Mi ha insegnato la mentalità. Io venivo da Roma con il capello stirato, sandali e bermuda, lui mi ha insegnato come si stava al Milan. Aveva una forza… A 40 anni andava ancora come un treno. È stato il più forte, l’unica persona che quando incontro mi mette in imbarazzo. Perché? Non lo. Imbarazzo nel senso che è diverso dagli altri”.
L’incubo di Istanbul: “Iniziamo nel primo tempo dicendo che li avremmo sfondati, eravamo carichi. Eravamo freddi. Nello spogliatoio abbiamo festeggiato? Ma no. È qualche scemo dell’altra squadra, non so neanche come si chiama, che ha detto ste cose… Noi invece abbiamo anche discusso, il clima era abbastanza teso, sapevamo che era ancora lunga. Sai chi li ha tenuti su? Gerrard. Era ovunque, è stato un animale. Poi nel secondo tempo l’episodio che prendi gol, il secondo che non capisci come e poi ti viene il braccino corto. Sapevamo a fine primo tempo che era ancora lunga e che avremmo dovuto giocare forte. È successo anche altre volte che prendi gol… Sul 3-2 ci è po’ mancato… Sul 3 pari abbiamo ricominciato, Dudek fa una parata clamorosa che neanche sa come ha fatto: apre un braccio e Sheva gli tira da un metro e la palla si impenna. Poi andiamo ai rigori e perdiamo. È stata una roba… È andato male tutto. Nello spogliatoio nessuno parlava, nessuno si è permesso. Eravamo con le famiglie, siamo andati a mangiare e c’era un silenzio… Tutti morti eravamo. Rino d’estate voleva andare via ma Galliani l’ha convinto, ma comunque eravamo tutti depressi. Per tutti i mesi estivi per quel mezzo secondo in cui apri gli occhi quando ti svegli dicevo: “Non è possibile dai, non è vero”. E invece dopo quando ci siamo rivisti ci siamo ricaricati. C’era un gruppo di italiani forte, quelli giusti. Ci siamo detti che non poteva finire così. Ci siamo rimessi al lavoro. Maldini ha detto le parole giuste, non parlava tanto: “Rimbocchiamoci le maniche, si riparte”. Dovevamo solo superarla. Rino era morto, penso si sia frustato tutta l’estate. È stato male, sai com’è lui. Ma alla fine si è ricaricato, era quello che ci dava l’input: dava due scarpate e partiva l’allenamento. Anche in quel caso è stato giusto. Paolo, Rino, Andrea, Ambro… Sono stati giusti e siamo ripartiti”.
La Champions League vinta nel 2003. E neanche ci volevi andare al Milan: “All’inizio… L’anno prima mi aveva chiamato il Real Madrid e non sono andato, volevo stare alla Lazio: ero un ragazzo particolare all’epoca (ride, ndr). Poi è arrivato il Milan, la Lazio era mezzo andata… Il primo anno vinciamo Champions e Coppa Italia”.
Come hai trovato il Milan? “Top mai visto. Puoi prendere qualsiasi casa che vuoi in affitto e loro ti pagano l’affitto. Dopo, se vuoi, ti portano al mobilificio e ti comprano tutti i mobili che vuoi. A mia moglie ho detto: “Non facciamo i romani…” (ride, ndr). Davvero devi pensare solo a giocare. All’inizio che mi sono staccato dalla Lazio stavo male, ma dopo che ho capito in che club ero mi sono tirato su le maniche. I primi quattro mesi ho fatto schifo. Prima partita a Modena, il mio esordio: ho fatto ridere. Poi sono partito, Paolo mi ha dato una mano. All’inizio non ero ancora pronto a staccarmi da Roma… Poi però ho cominciato e il primo anno sono stato fortunato perché abbiamo vinto la Champions”.
La finale con la Juve: “Nessuno ha dormito. Perché se perdi contro il Manchester United nessuno dice niente, ma se perdi contro la Juve… È stato molto teso anche Maldini, quando l’ho visto teso mi sono preoccupato. Io ero con Pirlo in camera, Andrea non si vedeva tanto che era teso. Ma era teso anche lui. Una partita tesa contro una squadra tesa, la Juve era rocciosa e tosta. Non era super bellissimo come giocava, ma ti venivano sempre addosso. Per me è stata una partita brutta. Nel primo tempo noi, nel secondo tempo loro… Poche occasioni, Buffon ha fatto una parata importante su Pippo, loro hanno preso traversa con Conte. E poi andiamo ai rigori…”.
Il tuo rigore contro Buffon: “Gli ho fatto un po’ di maledetta (ride, ndr). L’ho presa col dito… Io avevo calciato un rigore, in U21. Prima dei rigori qualcuno zoppicava, altri non se la sentivano… Io ho detto che avrei tirato e il mister ha fatto finta di non vedermi al primo giro (ride, ndr). Poi ha visto che non tirava nessuno e mi ha chiesto se fossi sicuro: gli ho detto di non preoccuparsi. Non avevo mai calciato un rigore. Nella mia carriera ho avuto occasioni in cui sono andato a vuoto: ho fatto un derby in cui sono uscito a fine primo tempo, Montella mi ha fatto tre gol e non ci avevo capito niente. Ero rimasto ferito da me stesso. Allora dovevo trovare un’occasione per rifarmi. Dovevo essere credibile a me stesso, della gente non me ne frega niente. L’ho sentita di doverlo tirare, dovevo mettere via quella roba la. E allora mi sono presentato. Mi ero preparato: aspetto fino all’ultimo secondo e poi appena si muove Gigi la piazzo. Arrivo carico per tirare e invece Buffon non si muove, rimane fermo. Allora non avevo tanto un piano B, quindi ho dovuto aprire il tiro all’ultimo secondo e mi è partito un po’ così… E Gigione non l’ha presa. Poi follia, una festa mai vista. Eravamo a Manchester tutta la notte, tu sai bene cosa succede quando vinci con i tuoi compagni. Eravamo un gruppo speciale”.
Era il Milan più forte in cui hai giocato? “No, quello era il Milan che ha perso ad Istanbul. Con Jaap Stam, un animale. Mamma mia”.
A Manchester poi hai parlato con qualcuno della Juve? “Sì, c’era Di Vaio che era mio fratello. Gli ho detto attaccati (ride, ndr). Scherzo. Ci siamo messi a parlare, anche con mister Lippi. È stato bellissimo. La Champions ti porta in un mondo diverso, finché non vai lì il tuo status di giocatore non sale, così come quando vinci il Mondiale”.
Poi non hai più tirato rigori? “Sì, ne ho tirato uno in Supercoppa e ho fatto gol sempre a Gigione. Dopo basta, non si sono più fidati. Quando siamo andati ad Istanbul mi sono proposto ancora, ma il mister non me l’ha fatto tirare”.
Gli scudetti col Milan: “Ne abbiamo vinti pochi. Tre finali di Champions e poi vinciamo solo due scudetti… Il club era più predisposto alla Champions, anche la gente. In Champions difficilmente sbagliavamo partita, mentre se andavamo a giocare a Reggio Calabria, per dire, magari pareggiavamo. Il mister è più predisposto alla Champions, vedi anche ora al Real Madrid. La società era per la Champions, ma anche la gente: si accendeva, era diverso il clima”.
Che Milan è stato? “Fortissimo. Poi hanno avuto la bravura di mettere dentro due-tre giocatori che non conosceva nessuno come Ricardo Kaká: è arrivato che sembrava un postino. Ma andava a duecento all’ora, nessuno si aspettava che andasse così forte. Thiago Silva veniva dalla Russia, ci si chiedeva chi fosse. Invece era fortissimo. Thiago Silva, Stam, Maldini, Kaladze… Gente fortissima”.
C’è qualcuno che poteva fare di più? “Per me no, tutti hanno dato tutto per la squadra”.
C’è uno scudetto che ti è rimasto più nel cuore? “Il primo. Era un anno in cui eravamo usciti dalla Champions e così abbiamo rimesso la stagione su. Però lo scudetto che mi rimane più nel cuore è quello che ho vinto con la Lazio. Perché a Milano scudetti, coppe… Sono abituati. Festeggi un giorno. A Roma abbiamo festeggiato un mese. Al Milan si festeggia forte quando si vince la Champions”.
Dopo Istanbul c’è Atene: “Segno del destino. Eravamo convinti che avremmo vinto. Il destino ce li aveva riportati lì, non potevamo sbagliare quella partita, non potevamo non vincere. Poi abbiamo giocato peggio rispetto a quella che non avevamo vinto, ma siamo stati più solidi. Eravamo convinti di vincere, già da inizio partita”.
Doveva giocare Gilardino, il mister invece sceglie Inzaghi… “Pippo non stava in piedi, era mezzo stirato… Gila era in un momento di forma mai vista. Speravamo tutti che giocasse lui. Queste sono le grandi intuizioni del mister che ti fanno vincere la Champions, lui sa che in quella partita Pippo Inzaghi, anche a pezzi, ha più chance di fare gol di Gila. Pensa come gli cambia la vita a Pippo quella partita…”.
Com’è stato il pre partita? “Meno tesi dell’altra volta, eravamo convinti che la portavamo a casa in qualsiasi modo. Avevamo Kaká che era in una forma strepitosa. Loro giocavano a 4 in mezzo, lui ogni tanto dava certe fiammate… Eravamo sicuri di vincere. Ci è capitato anche col Boca. Vinciamo la Champions, perdiamo col Boca, rivinciamo la Champions e becchiamo nuovamente il Boca Juniors. E vinciamo”.
Che Liverpool era? “Erano un po’ in piedi. Avevano vinto due prima, quando vinci ti sgonfi un po’. Ma sapevano che era nostra. Lo sapevano anche loro”.
Con Seedorf tutto bene? “Gli voglio bene come ad un fratello. Io ho un carattere particolare, ma pure lui. Litigavamo. Abbiamo litigato tanto, voleva sempre fare il contrario. Ma per dirvi che rapporto abbiamo, una volta lui è andato a Los Angeles e per 4-5 giorni mi ha lasciato il figlio a casa a Miami, è un grande amico mio. Però con Clarence, per caratteri, ci siamo beccati un po’… È un ragazzo super, un giocatore che in campo ti fa vincere le partite ma a volte personalità anche troppa (ride, ndr). È un grande, un ragazzo d’oro”.







