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Oddo e la Lazio: "Fu un addio obbligato. Dovevo firmare a vita ma c'erano problemi"
Lunga intervista a Radio Serie A per Massimo Oddo, ex calciatore di Napoli, Verona, Lazio, Milan, tra le altre per parlare dei momenti salienti della sua carriera. Questo lo stralcio sulla sua lunga avventura nella Capitale:
"Io arrivai alla Lazio come ultimo acquisto di Cragnotti, nella grande Lazio, la Lazio di Nesta, di Crespo, di Stam, di Couto, di Mihajlovic, di Stankovic. Arrivammo quarti, vincemmo la Coppa Italia quell'anno. Poi la Lazio passò di mano, ci fu l'anno di Baraldi e quindi il momento della grande crisi quando ha rischiato anche di scomparire. E il grande legame con quella piazza nasce lì, dal fatto che io probabilmente sono stato uno dei pochi, insieme a Peruzzi e Cesar, a stare prima nella grande Lazio fino a quella che successivamente chiamarono 'lazietta': un anno rischiò anche di retrocedere, quando ci fu quel famoso derby alla terzultima giornata con la Roma, finì 0-0, e tutto lo stadio ci fischiò. Poi andai via l'ultimo anno con la squadra che però si qualificò per la Champions League. Passai al Milan a gennaio 2007, ma l'anno precedente avevo fatto anche 7 gol in campionato. Insomma, avevo questo legame fortissimo, diventai anche capitano, incarnai lo spirito Lazio che c'era in quegli anni lì. La gioia più grande fu ritrovare la Lazio in Champions League, perché vivemmo degli momenti difficili, brutti, pesanti, anni in cui arrivarono anche 9 giocatori negli ultimi 5' minuti di mercato, giocatori sconosciuti, non sapevamo quasi di che morte dovevamo morire. Io essendo capitano mi sentivo addosso una grandissima responsabilità. E fu un addio 'obbligato'.
Prima di andare via avevo proposto al Presidente di restare alla Lazio a vita, di rinnovare il contratto. Ma lui in quel momento non poteva perché c'erano esigenze economiche particolari e fui costretto a partire. Mi sentivo un peso addosso, forte, proprio perché ero anche capitano. Mi sentivo in difetto, insomma. Aver ritrovato a fine anno la squadra in Champions League mi sollevò un po' da questa pesantezza che avevo. Quella secondo me fu la gioia più grande. Poi ovviamente alzare la coppa al cielo è sempre bello, quindi la Coppa Italia rimane un ricordo indelebile. Tra l'altro fu il primo trofeo che vinsi con i grandi".
"Io arrivai alla Lazio come ultimo acquisto di Cragnotti, nella grande Lazio, la Lazio di Nesta, di Crespo, di Stam, di Couto, di Mihajlovic, di Stankovic. Arrivammo quarti, vincemmo la Coppa Italia quell'anno. Poi la Lazio passò di mano, ci fu l'anno di Baraldi e quindi il momento della grande crisi quando ha rischiato anche di scomparire. E il grande legame con quella piazza nasce lì, dal fatto che io probabilmente sono stato uno dei pochi, insieme a Peruzzi e Cesar, a stare prima nella grande Lazio fino a quella che successivamente chiamarono 'lazietta': un anno rischiò anche di retrocedere, quando ci fu quel famoso derby alla terzultima giornata con la Roma, finì 0-0, e tutto lo stadio ci fischiò. Poi andai via l'ultimo anno con la squadra che però si qualificò per la Champions League. Passai al Milan a gennaio 2007, ma l'anno precedente avevo fatto anche 7 gol in campionato. Insomma, avevo questo legame fortissimo, diventai anche capitano, incarnai lo spirito Lazio che c'era in quegli anni lì. La gioia più grande fu ritrovare la Lazio in Champions League, perché vivemmo degli momenti difficili, brutti, pesanti, anni in cui arrivarono anche 9 giocatori negli ultimi 5' minuti di mercato, giocatori sconosciuti, non sapevamo quasi di che morte dovevamo morire. Io essendo capitano mi sentivo addosso una grandissima responsabilità. E fu un addio 'obbligato'.
Prima di andare via avevo proposto al Presidente di restare alla Lazio a vita, di rinnovare il contratto. Ma lui in quel momento non poteva perché c'erano esigenze economiche particolari e fui costretto a partire. Mi sentivo un peso addosso, forte, proprio perché ero anche capitano. Mi sentivo in difetto, insomma. Aver ritrovato a fine anno la squadra in Champions League mi sollevò un po' da questa pesantezza che avevo. Quella secondo me fu la gioia più grande. Poi ovviamente alzare la coppa al cielo è sempre bello, quindi la Coppa Italia rimane un ricordo indelebile. Tra l'altro fu il primo trofeo che vinsi con i grandi".
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