
Napoli, Conte: "L'allenatore è il termometro della squadra, deve sentire ogni calo di tensione"
Intervistato da L'Equipe, il tecnico del Napoli Antonio Conte ha parlato del ruolo dell'allenatore e dello Scudetto da imbattuto con la Juventus, visto e considerato che potrebbe farlo anche il Psg, club che già questo weekend potrebbe laurearsi campione di Francia: "Non perdere nemmeno una volta in stagione è inimmaginabile e non è mai qualcosa che pianifichi. Quell’anno, siamo andati anche in finale di Coppa Italia, dove abbiamo perso contro il Napoli, la nostra unica sconfitta della stagione".
Si ripercorre quella cavalcata: "A me quello che interessava, dal momento in cui ci siamo trovati in testa alla classifica, era lottare per lo scudetto, e disturbare il più possibile il Milan, che il campione in carica e che aveva una squadra molto più forte della nostra. Erano i favoriti, c’erano Ibrahimovic, Thiago Silva, Gattuso, Nesta, Robinho… l’obiettivo era stare tra i primi tre. Poi nell’ultima fase della stagione eravamo proprio dietro (la Juve era a -4 dopo la 29esima giornata). In quel momento, l’obiettivo è diventato quello di vincere. Non avevamo molto margine, eravamo super motivati e quindi siamo riusciti a non perdere".
Sulle difficoltà nel fare lo stesso da parte del Psg: "Il Psg, a differenza di noi all’epoca, gioca la Champions. C’è quest’altra competizione che che ti fa perdere energie. E che occuperà logicamente i pensieri dei giocatori una volta vinto il titolo in Francia. È inevitabile che entrino in gioco altri obiettivi perché, comunque, la cosa più importante per i giocatori è vincere i titoli. Essere imbattuto è bello, rimane nella storia, ma prima di tutto sono i titoli che contano".
E sul ruolo dell'allenatore: "Non deve essere tranquillo. L’allenatore è il termometro della squadra, deve sentire ogni calo di tensione, ogni calo di motivazione, deve essere in grado di trovare il modo di svegliare tutti e mantenere la concentrazione. Ma penso che Luis Enrique non abbia bisogno dei miei consigli".
Si ripercorre quella cavalcata: "A me quello che interessava, dal momento in cui ci siamo trovati in testa alla classifica, era lottare per lo scudetto, e disturbare il più possibile il Milan, che il campione in carica e che aveva una squadra molto più forte della nostra. Erano i favoriti, c’erano Ibrahimovic, Thiago Silva, Gattuso, Nesta, Robinho… l’obiettivo era stare tra i primi tre. Poi nell’ultima fase della stagione eravamo proprio dietro (la Juve era a -4 dopo la 29esima giornata). In quel momento, l’obiettivo è diventato quello di vincere. Non avevamo molto margine, eravamo super motivati e quindi siamo riusciti a non perdere".
Sulle difficoltà nel fare lo stesso da parte del Psg: "Il Psg, a differenza di noi all’epoca, gioca la Champions. C’è quest’altra competizione che che ti fa perdere energie. E che occuperà logicamente i pensieri dei giocatori una volta vinto il titolo in Francia. È inevitabile che entrino in gioco altri obiettivi perché, comunque, la cosa più importante per i giocatori è vincere i titoli. Essere imbattuto è bello, rimane nella storia, ma prima di tutto sono i titoli che contano".
E sul ruolo dell'allenatore: "Non deve essere tranquillo. L’allenatore è il termometro della squadra, deve sentire ogni calo di tensione, ogni calo di motivazione, deve essere in grado di trovare il modo di svegliare tutti e mantenere la concentrazione. Ma penso che Luis Enrique non abbia bisogno dei miei consigli".
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