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Gli inizi al Mondo Jeans, il Palermo e la Juve. Presente e futuro da ds, Leandro Rinaudo si racconta
Classe 1983, made in Palermo. Un passato da calciatore in rosanero dalle giovanili alla prima squadra, il Napoli e la chiamata della Juventus. Una carriera cominciata allo Che Guevara, al campo Mondo Jeans di cui oggi rimangono soltanto sterpaglie e rifiuti ma che un tempo sfornava talenti. Tra passato, presente e futuro, l’ex difensore e fino all’anno scorso direttore sportivo del Palermo, Leandro Rinaudo si racconta ai microfoni di TuttoMercatoWeb.com per i giganti del calcio.
Rinaudo, che effetto le fa tornare nei luoghi dove ha iniziato a giocare a calcio da bambino?
“Quando si parla dei momenti belli del calcio, della vita, sono bei ricordi. Trascorrevo l’infanzia tra i campi, la scuola e ovviamente la famiglia. Già da piccolo ero un ossessionato del calcio, mi fermavo a vedere i più grandi. Tornare qui è bello, emozionante. Fa ripensare a tutta la strada che ho fatto, ai sacrifici. Dispiace vedere quello che fu il campo in queste condizioni perché tanti ragazzi sono passati da questa struttura. Via Messina Marine è sempre stato luogo dove sorgevano tante scuole calcio. Spero possa rifiorire”.
Quando scatta la scintilla e pensa di dover fare il calciatore?
“Mio fratello Giuseppe ha iniziato a giocare qui, nello stesso campo dove ho cominciato io. Poi è approdato in squadre come Reggina e Avellino. Ho seguito le sue orme. Avevo grande motivazione, voglia di raggiungere degli obiettivi e coronare il mio sogno. Frequentavo la scuola vicino il campo, in Via Torrelunga; casa di mia nonna in Via Sperone. Non c’erano tutte le distrazioni di adesso, il calcio era la prima attività e quando non giocavo qui lo facevo per la strada con gli amici. La strada ti faceva crescere, questo manca ai bambini di oggi ed è un peccato”.
Come arriva al settore giovanile del Palermo da calciatore?
“Giocammo una partita contro il settore giovanile del Palermo, di pari età. Vincemmo 4-2 e feci tre gol. Così l’allenatore dell’epoca, mister Biagini, contattò la mia famiglia per portarmi al Palermo”.
Poi il Varese…
“La prima volta lontano da casa. Un’esperienza difficile. Andare via a 17-18 anni senza conoscere nessuno non è facile, ma quella tappa è stata fondamentale per la mia crescita”.
Fino a conquistare dopo una serie di esperienze tra cui quella con il Palermo in prima squadra la chiamata del Napoli.
“Una grande opportunità. Un’esperienza importante con altri calciatori di livello che hanno fatto un grande percorso. Ho iniziato ad avere qualche problema fisico ma è stata un’esperienza molto bella. Vivere Napoli calcisticamente e umanamente è una delle esperienze più entusiasmanti che un calciatore possa vivere”.
Poi è arrivato alla Juventus e lei pensava di dover andare al Bari…
“Una trattativa che Beppe Accardi portava avanti da un mese. Alla Juventus c’erano Fabio Paratici e Mister Delneri che avevo avuto al Palermo. La Juve rappresenta il sogno di ogni bambino, ti trasmette emozioni uniche. Dopo la prima partita contro il Cagliari ho avuto dei problemi fisici molto seri alla schiena e al tendine d’achille che mi hanno portato delle sofferenze importanti. Lì è iniziato il mio calvario che ha impedito di continuare la mia ascesa professionale”.
A Livorno in un normale scontro di gioco contro la Fiorentina ne fece le spese Giuseppe Rossi. E a Firenze partì la gogna mediatica nei suoi confronti…
“Uno scontro di gioco. Venne fuori un gran putiferio mediatico, ma sono sempre stato sereno perché dentro di me non c’è mai stata l’intenzione di fare del male a Giuseppe Rossi e lo dimostra un suo gesto che mi ha dato grande tranquillità. Peppe è stato il primo calciatore a chiamarmi dicendomi che sapeva cosa era successo e che non era certo colpa mia. Dentro di me avevo già la consapevolezza di non essermi comportato male, quella telefonata è stata l’ulteriore conferma”.
Se guarda al suo passato da calciatore, da dove è partito, cosa le viene in mente?
“Che sono orgoglioso di quello che ho fatto. Non ho mai avuto aiuto da parte di nessuno se non dalla mia famiglia e dal mio agente Beppe Accardi. È sempre stata una strada in salita e tutto quello che ho ottenuto è stato frutto dei sacrifici fatti e del lavoro quotidiano. Ma guardo avanti perché mi piace porre davanti al mio cammino nuovi obiettivi e nuove motivazioni”.
Dopo le esperienze con Bari, Virtus Entella e Vicenza intraprende una carriera dirigenziale. Al Venezia, al fianco di Perinetti.
“Il ruolo del direttore sportivo mi ha sempre incuriosito. Mi piaceva guardare con un occhio diverso i dirigenti e fermarmi a parlare con loro per capire il ruolo. Ma lo capisci per davvero quando ci entri dentro. Poi grazie a Giorgio Perinetti sono riuscito ad iniziare questo percorso: mi ha dato la possibilità di affiancarlo in un triennio vincente a Venezia, poi lui ha ricevuto una chiamata dalla Serie A e grazie alla stima conquistata sul campo sono stato promosso dal club. È stato un anno positivo dove abbiamo raggiunto la semifinale dei playoff”.
Poi diventa il direttore sportivo della Cremonese. L’esperienza terminò con un esonero. Cosa è successo?
“Avevo trentaquattro anni. Probabilmente non conoscevo del tutto alcune dinamiche. Ma fa parte del percorso di crescita. Per come vedo la vita se non vivi anche esperienze che possono sembrare negative difficilmente impari e migliori. Oggi mi sento una persona più matura e consapevole”.
Poi il ritorno a casa. Nel settore giovanile del Palermo che doveva ricostruire dal fallimento.
“Venivo da esperienze in Serie B. Quella del settore giovanile del Palermo è stata una sfida che ho accettato per il senso di appartenenza ai colori rosanero. Un po’ come se volessi restituire qualcosa al Palermo. Dopo il fallimento non esisteva nulla. Ricevetti la chiamata del Presidente Mirri e di Rinaldo Sagramola e cominciammo il progetto dove bisognava ricostruire totalmente tutto e negli anni ci siamo riusciti”.
Il Palermo va in B, arriva il City Group e Baldini e Castagnini si dimettono. Lei diventa il ds della prima squadra.
“Un’opportunità che credo di aver meritato attraverso il lavoro e la serietà. Ad individuarmi sono state le persone da Manchester, una bella soddisfazione. Come se si chiudesse un cerchio che però non si è chiuso perché avrei voluto raggiungere l’obiettivo della Serie A da direttore sportivo del Palermo. Ma da palermitano con i colori rosanero ho fatto i pulcini, la primavera, la prima squadra, l’esordio in Uefa con una doppietta, il responsabile del settore giovanile e il direttore sportivo della prima squadra: sono orgoglioso del percorso anche perché non esiste nessun altro a Palermo che abbia vissuto questa esperienza in più fasi della vita come accaduto a me. Credo che con la prima squadra sia stato fatto un lavoro altrettanto importante: il primo anno dovevamo salvarci e siamo arrivati ad un passo dai playoff, il secondo anno abbiamo giocato la semifinale dei playoff contro la squadra che poi è andata in Serie A. La gestione e i numeri mi fanno ritenere soddisfatto del lavoro svolto”.
Quando lo cambi lo fai perché vuoi migliorare. Oggi il Palermo che l’ha sostituita con Morgan De Sanctis, non è migliorato.
“Sono numeri anche questi ma c’è ancora tempo, il campionato è lungo. Il Palermo del City Football Group aveva come obiettivo nei primi due anni il consolidamento e poi l’essere competitivi per cercare di andare in Serie A. Il terzo anno, cioè questo, era quello in cui bisognava provare a vincere il campionato. Le scelte nel calcio e nella vita ci stanno. Le decisioni sono state prese da dirigenti che hanno esperienza, sicuramente con la consapevolezza che questa squadra poteva fare di più scegliendo persone che pensavano potessero far fare il salto di qualità. Per potenzialità ed investimenti il Palermo deve porsi anche adesso il traguardo di andare in Serie A perché è un obiettivo dichiarato dalla proprietà”
Da palermitano e ds del Palermo come viveva le pressioni della città quando i risultati non arrivavano?
“L’esperienza ti insegna a separare lavoro e vita personale. Negli anni in cui sono stato direttore sportivo del Palermo lasciavo i bambini a scuola, andavo al corso di inglese, in sede e al campo e la sera tornavo a casa. Sentivo e ascoltavo il meno possibile”.
Tra i colpi tentati c’è Barcola. Un rimpianto?
“C’è stata la seria e concreta possibilità di portarlo al Palermo. Era al Lione e iniziava a far vedere qualcosa delle sue potenzialità. Gli abbiamo prospettato il progetto e ci sono stati momenti in cui era abbastanza interessato. Ma un rimpianto è non essere riuscito a portare Oristanio al Palermo l’estate 2023 perché l’inserimento del Cagliari è stato pressante e il ragazzo ha scelto la Serie A”.
E il futuro?
“Vedo e penso sempre positivo. Ho avuto delle opportunità anche recentemente ma non ho sentito quelle vibrazioni positive che ho bisogno di sentire per cominciare una nuova esperienza”.
Chi è Leandro Rinaudo fuori dal campo?
“Una persona normalissima a cui piace vivere la famiglia, gli amici e la casa. Guardo tante partite, mi piace la tranquillità”.
Calcio a parte, altre passioni?
“Il mondo del designer. Leggo tante riviste. Sono appassionato di ristrutturazioni e del mondo immobiliare. E il padel: un’attività nata nella struttura di R2 qualche mese fa a Bagheria insieme a mio fratello e il mio amico Alessandro”.
Lei ha due bambini. Le piacerebbe vederli nel mondo del calcio?
“Hanno una passione che, sinceramente, non sono mai stato insistente nel trasmettergliela. So cosa ci vuole per arrivare a certi livelli; loro giocano e si divertono, sono felici quando vincono e tristi quando perdono. Certamente mi farebbe davvero piacere se dovessero far parte di questo mondo a livelli importanti. Ma so che se dovesse avvenire ciò accadrebbe in maniera naturale. Senza pressioni”.
Rinaudo, che effetto le fa tornare nei luoghi dove ha iniziato a giocare a calcio da bambino?
“Quando si parla dei momenti belli del calcio, della vita, sono bei ricordi. Trascorrevo l’infanzia tra i campi, la scuola e ovviamente la famiglia. Già da piccolo ero un ossessionato del calcio, mi fermavo a vedere i più grandi. Tornare qui è bello, emozionante. Fa ripensare a tutta la strada che ho fatto, ai sacrifici. Dispiace vedere quello che fu il campo in queste condizioni perché tanti ragazzi sono passati da questa struttura. Via Messina Marine è sempre stato luogo dove sorgevano tante scuole calcio. Spero possa rifiorire”.
Quando scatta la scintilla e pensa di dover fare il calciatore?
“Mio fratello Giuseppe ha iniziato a giocare qui, nello stesso campo dove ho cominciato io. Poi è approdato in squadre come Reggina e Avellino. Ho seguito le sue orme. Avevo grande motivazione, voglia di raggiungere degli obiettivi e coronare il mio sogno. Frequentavo la scuola vicino il campo, in Via Torrelunga; casa di mia nonna in Via Sperone. Non c’erano tutte le distrazioni di adesso, il calcio era la prima attività e quando non giocavo qui lo facevo per la strada con gli amici. La strada ti faceva crescere, questo manca ai bambini di oggi ed è un peccato”.
Come arriva al settore giovanile del Palermo da calciatore?
“Giocammo una partita contro il settore giovanile del Palermo, di pari età. Vincemmo 4-2 e feci tre gol. Così l’allenatore dell’epoca, mister Biagini, contattò la mia famiglia per portarmi al Palermo”.
Poi il Varese…
“La prima volta lontano da casa. Un’esperienza difficile. Andare via a 17-18 anni senza conoscere nessuno non è facile, ma quella tappa è stata fondamentale per la mia crescita”.
Fino a conquistare dopo una serie di esperienze tra cui quella con il Palermo in prima squadra la chiamata del Napoli.
“Una grande opportunità. Un’esperienza importante con altri calciatori di livello che hanno fatto un grande percorso. Ho iniziato ad avere qualche problema fisico ma è stata un’esperienza molto bella. Vivere Napoli calcisticamente e umanamente è una delle esperienze più entusiasmanti che un calciatore possa vivere”.
Poi è arrivato alla Juventus e lei pensava di dover andare al Bari…
“Una trattativa che Beppe Accardi portava avanti da un mese. Alla Juventus c’erano Fabio Paratici e Mister Delneri che avevo avuto al Palermo. La Juve rappresenta il sogno di ogni bambino, ti trasmette emozioni uniche. Dopo la prima partita contro il Cagliari ho avuto dei problemi fisici molto seri alla schiena e al tendine d’achille che mi hanno portato delle sofferenze importanti. Lì è iniziato il mio calvario che ha impedito di continuare la mia ascesa professionale”.
A Livorno in un normale scontro di gioco contro la Fiorentina ne fece le spese Giuseppe Rossi. E a Firenze partì la gogna mediatica nei suoi confronti…
“Uno scontro di gioco. Venne fuori un gran putiferio mediatico, ma sono sempre stato sereno perché dentro di me non c’è mai stata l’intenzione di fare del male a Giuseppe Rossi e lo dimostra un suo gesto che mi ha dato grande tranquillità. Peppe è stato il primo calciatore a chiamarmi dicendomi che sapeva cosa era successo e che non era certo colpa mia. Dentro di me avevo già la consapevolezza di non essermi comportato male, quella telefonata è stata l’ulteriore conferma”.
Se guarda al suo passato da calciatore, da dove è partito, cosa le viene in mente?
“Che sono orgoglioso di quello che ho fatto. Non ho mai avuto aiuto da parte di nessuno se non dalla mia famiglia e dal mio agente Beppe Accardi. È sempre stata una strada in salita e tutto quello che ho ottenuto è stato frutto dei sacrifici fatti e del lavoro quotidiano. Ma guardo avanti perché mi piace porre davanti al mio cammino nuovi obiettivi e nuove motivazioni”.
Dopo le esperienze con Bari, Virtus Entella e Vicenza intraprende una carriera dirigenziale. Al Venezia, al fianco di Perinetti.
“Il ruolo del direttore sportivo mi ha sempre incuriosito. Mi piaceva guardare con un occhio diverso i dirigenti e fermarmi a parlare con loro per capire il ruolo. Ma lo capisci per davvero quando ci entri dentro. Poi grazie a Giorgio Perinetti sono riuscito ad iniziare questo percorso: mi ha dato la possibilità di affiancarlo in un triennio vincente a Venezia, poi lui ha ricevuto una chiamata dalla Serie A e grazie alla stima conquistata sul campo sono stato promosso dal club. È stato un anno positivo dove abbiamo raggiunto la semifinale dei playoff”.
Poi diventa il direttore sportivo della Cremonese. L’esperienza terminò con un esonero. Cosa è successo?
“Avevo trentaquattro anni. Probabilmente non conoscevo del tutto alcune dinamiche. Ma fa parte del percorso di crescita. Per come vedo la vita se non vivi anche esperienze che possono sembrare negative difficilmente impari e migliori. Oggi mi sento una persona più matura e consapevole”.
Poi il ritorno a casa. Nel settore giovanile del Palermo che doveva ricostruire dal fallimento.
“Venivo da esperienze in Serie B. Quella del settore giovanile del Palermo è stata una sfida che ho accettato per il senso di appartenenza ai colori rosanero. Un po’ come se volessi restituire qualcosa al Palermo. Dopo il fallimento non esisteva nulla. Ricevetti la chiamata del Presidente Mirri e di Rinaldo Sagramola e cominciammo il progetto dove bisognava ricostruire totalmente tutto e negli anni ci siamo riusciti”.
Il Palermo va in B, arriva il City Group e Baldini e Castagnini si dimettono. Lei diventa il ds della prima squadra.
“Un’opportunità che credo di aver meritato attraverso il lavoro e la serietà. Ad individuarmi sono state le persone da Manchester, una bella soddisfazione. Come se si chiudesse un cerchio che però non si è chiuso perché avrei voluto raggiungere l’obiettivo della Serie A da direttore sportivo del Palermo. Ma da palermitano con i colori rosanero ho fatto i pulcini, la primavera, la prima squadra, l’esordio in Uefa con una doppietta, il responsabile del settore giovanile e il direttore sportivo della prima squadra: sono orgoglioso del percorso anche perché non esiste nessun altro a Palermo che abbia vissuto questa esperienza in più fasi della vita come accaduto a me. Credo che con la prima squadra sia stato fatto un lavoro altrettanto importante: il primo anno dovevamo salvarci e siamo arrivati ad un passo dai playoff, il secondo anno abbiamo giocato la semifinale dei playoff contro la squadra che poi è andata in Serie A. La gestione e i numeri mi fanno ritenere soddisfatto del lavoro svolto”.
Quando lo cambi lo fai perché vuoi migliorare. Oggi il Palermo che l’ha sostituita con Morgan De Sanctis, non è migliorato.
“Sono numeri anche questi ma c’è ancora tempo, il campionato è lungo. Il Palermo del City Football Group aveva come obiettivo nei primi due anni il consolidamento e poi l’essere competitivi per cercare di andare in Serie A. Il terzo anno, cioè questo, era quello in cui bisognava provare a vincere il campionato. Le scelte nel calcio e nella vita ci stanno. Le decisioni sono state prese da dirigenti che hanno esperienza, sicuramente con la consapevolezza che questa squadra poteva fare di più scegliendo persone che pensavano potessero far fare il salto di qualità. Per potenzialità ed investimenti il Palermo deve porsi anche adesso il traguardo di andare in Serie A perché è un obiettivo dichiarato dalla proprietà”
Da palermitano e ds del Palermo come viveva le pressioni della città quando i risultati non arrivavano?
“L’esperienza ti insegna a separare lavoro e vita personale. Negli anni in cui sono stato direttore sportivo del Palermo lasciavo i bambini a scuola, andavo al corso di inglese, in sede e al campo e la sera tornavo a casa. Sentivo e ascoltavo il meno possibile”.
Tra i colpi tentati c’è Barcola. Un rimpianto?
“C’è stata la seria e concreta possibilità di portarlo al Palermo. Era al Lione e iniziava a far vedere qualcosa delle sue potenzialità. Gli abbiamo prospettato il progetto e ci sono stati momenti in cui era abbastanza interessato. Ma un rimpianto è non essere riuscito a portare Oristanio al Palermo l’estate 2023 perché l’inserimento del Cagliari è stato pressante e il ragazzo ha scelto la Serie A”.
E il futuro?
“Vedo e penso sempre positivo. Ho avuto delle opportunità anche recentemente ma non ho sentito quelle vibrazioni positive che ho bisogno di sentire per cominciare una nuova esperienza”.
Chi è Leandro Rinaudo fuori dal campo?
“Una persona normalissima a cui piace vivere la famiglia, gli amici e la casa. Guardo tante partite, mi piace la tranquillità”.
Calcio a parte, altre passioni?
“Il mondo del designer. Leggo tante riviste. Sono appassionato di ristrutturazioni e del mondo immobiliare. E il padel: un’attività nata nella struttura di R2 qualche mese fa a Bagheria insieme a mio fratello e il mio amico Alessandro”.
Lei ha due bambini. Le piacerebbe vederli nel mondo del calcio?
“Hanno una passione che, sinceramente, non sono mai stato insistente nel trasmettergliela. So cosa ci vuole per arrivare a certi livelli; loro giocano e si divertono, sono felici quando vincono e tristi quando perdono. Certamente mi farebbe davvero piacere se dovessero far parte di questo mondo a livelli importanti. Ma so che se dovesse avvenire ciò accadrebbe in maniera naturale. Senza pressioni”.
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