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Schillaci contro i pregiudizi del Nord. "Sono di Palermo, ma non sono un malavitoso"
Salvatore Schillaci ha scritto anche un libro. "Il gol è tutto", dove spiega anche le proprie origini e soprattutto quanto ha vissuto proprio a causa della provenienza, in un'epoca come gli anni ottanta-novanta dove la Mafia aveva radici ovunque, in Sicilia. Questo ne è l'inizio.
“Avete ucciso anche Falcone”.
“Mister, io ero con Baggio, puoi chiedere a lui: oggi non ho ucciso nessuno”. Rispondo così, distrattamente e con una bozza di sorriso, al commento con cui Trapattoni mi accoglie a tavola, nella sala dell’hotel dove viene servita la cena. Scansiono l’intera tovaglia con solo sguardo per esaminare cosa c’è da mangiare. Mi interessa più quello delle parole del mister, che ritengo una battuta, anche se non capisco perché l’abbia fatta.
Trapattoni però non ride. I volti dei compagni sono stranamente cupi. C’è un’aria pesante e non è per via della partita.
È il 23 maggio 1992. Sono in ritiro con la Juventus a Verona per l’ultima giornata del campionato. Il risultato non conta, siamo matematicamente secondi in classifica. Non c’è motivo per essere preoccupati. Il buio su quei volti non riguarda noi. Quella del Trap non è una battuta: è il suo commento su quanto accaduto poche ore fa e lo intuisco voltandomi verso il televisore.
[…]
“Avete ucciso Falcone” mi ha detto. Avete chi?
HANNO ucciso Falcone. È stata la mafia, con una bomba.
Io sono di Palermo, sì, ma non sono un malavitoso.
Dove sono nato e cresciuto io, nel CEP, il quartiere popolare di Palermo, ogni giorno ci si trovava metaforicamente sotto il cartello che oggi impera in tutti i telegiornali: Capaci a destra. Palermo dritto.
“Avete ucciso anche Falcone”.
“Mister, io ero con Baggio, puoi chiedere a lui: oggi non ho ucciso nessuno”. Rispondo così, distrattamente e con una bozza di sorriso, al commento con cui Trapattoni mi accoglie a tavola, nella sala dell’hotel dove viene servita la cena. Scansiono l’intera tovaglia con solo sguardo per esaminare cosa c’è da mangiare. Mi interessa più quello delle parole del mister, che ritengo una battuta, anche se non capisco perché l’abbia fatta.
Trapattoni però non ride. I volti dei compagni sono stranamente cupi. C’è un’aria pesante e non è per via della partita.
È il 23 maggio 1992. Sono in ritiro con la Juventus a Verona per l’ultima giornata del campionato. Il risultato non conta, siamo matematicamente secondi in classifica. Non c’è motivo per essere preoccupati. Il buio su quei volti non riguarda noi. Quella del Trap non è una battuta: è il suo commento su quanto accaduto poche ore fa e lo intuisco voltandomi verso il televisore.
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“Avete ucciso Falcone” mi ha detto. Avete chi?
HANNO ucciso Falcone. È stata la mafia, con una bomba.
Io sono di Palermo, sì, ma non sono un malavitoso.
Dove sono nato e cresciuto io, nel CEP, il quartiere popolare di Palermo, ogni giorno ci si trovava metaforicamente sotto il cartello che oggi impera in tutti i telegiornali: Capaci a destra. Palermo dritto.
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