Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendariScommessePronostici
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliaricomoempolifiorentinagenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliparmaromatorinoudinesevenezia
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenafrosinonelatinalivornonocerinapalermoperugiapescarapordenonepotenzaregginasalernitanasampdoriasassuoloternanaturris
Altri canali euro 2024serie bserie cchampions leaguefantacalcionazionalipodcaststatistichestazione di sosta
tmw / juventus / Gli eroi bianconeri
Gli eroi in bianconero: Federico BALZARETTITUTTO mercato WEB
Oggi alle 10:20Gli eroi bianconeri
di Stefano Bedeschi
per Tuttojuve.com

Gli eroi in bianconero: Federico BALZARETTI

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia

Torinese doc, essendo nato nella capitale sabauda il 6 dicembre 1981, cresce nelle giovanili del Torino; nell’estate del 1999 è mandato a farsi le ossa a Varese, dove rimane per due stagioni. Nella stagione 2001-02 si trasferisce al Siena, per poi tornare nella compagine granata nell’estate del 2002 e il 14 settembre dello stesso anno esordisce in Serie A, contro l’Inter. Il Torino retrocede in Serie B e Federico diventa uno dei cardini della squadra granata. Nella stagione 2004-05 è uno dei protagonisti della promozione nella massima serie del Toro, ma la promozione viene annullata dal fallimento della società granata.
Balzaretti, svincolato, è ingaggiato a parametro zero dalla Juventus; grazie alle sue prestazioni e alla sua capacità di disimpegnarsi sia sulla fascia destra che in quella sinistra, trova spesso spazio nell’undici titolare. Con ventotto presenze, di cui quattro in Champions League, mette la propria firma allo scudetto bianconero.
Rimane in bianconero anche nella stagione successiva, in Serie B e, nonostante Deschamps lo veda solamente come terzino sinistro, subendo quindi la concorrenza di Chiellini, riesce a totalizzare quaranta presenze; realizza, contro il Crotone, il suo primo goal con la maglia bianconera, al quale può aggiungere la rete segnata contro l’Albinoleffe.
«Sono stati due anni intensi e in cui sono successe molte cose; si è chiusa una parentesi importante della mia vita, umana e professionale, ho conosciuto persone splendide e insieme ci siamo tolti tante soddisfazioni. Ho vinto due campionati che nessuna sentenza potrà mai cancellare. Ora che quest’avventura è finita, voglio ringraziare tutti coloro che con me l’hanno condivisa. I miei compagni, i membri dello staff tecnico e di quello medico, i magazzinieri, tutte le persone che lavorano a fianco della squadra e chi quotidianamente opera in sede. Infine, un saluto ai tifosi, che in questo periodo mi sono sempre stati vicini e non hanno mai fatto mancare il loro sostegno».
Il 20 giugno 2007, infatti, è acquistato dalla Fiorentina per 3,8 milioni di euro, firmando un contratto quadriennale.

FABIO ELLENA, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL MARZO 2006
Dal Torino. Da Torino. Proprio alla vigilia dell’Olimpiade, l’evento più importante della storia recente della città sabauda. In una Juventus che sta marciando spedita, frantumando record a ripetizione, un’altra lacuna è stata cancellata. Dopo anni di assenza, la maglia bianconera è, infatti, nuovamente indossata da un torinese. O meglio, da un “Turineis”. Merito di Federico Balzaretti, approdato alla corte di “Madama” in estate, al termine del periodo forse più burrascoso della vita del Toro, proprio mentre la città (non solo la componente granata!) già si pregustava un derby a cinque stelle. E a cinque cerchi.
Ed eccolo qui, Federico. Pronto a riaprire due capitoli della storia bianconera interrotti da una decina di anni. Quello dei torinesi, innanzitutto. Un elenco che, oltre ai pionieri del D’Azeglio che 108 anni fa diedero vita al club, comprende campioni dai nonni illustri. Come Giampiero Combi o Guglielmo Gabetto, Carlo Parola o Roberto Bettega, fino ad arrivare a Michele Padovano, l’ultimo degli indigeni a lasciare il segno.
L’altro racconta invece dei trasferimenti (riusciti o mancati, ma spesso fonte di discussioni) da una parte all’altra di Torino. Dal granata al bianconero e viceversa. Nomi, racconti ed episodi per rendere ancora più accesa la rivalità (sportiva) tra cugini sotto la Mole. Senza scomodare miti e leggende, ma spingendoci di slancio fino a Gianluca Pessotto, protagonista del penultimo salto di barricata e figura fondamentale in questi primi mesi juventini di Balzaretti. Al di là di corsi e ricorsi storici, quel che resta è un ragazzo che il salto l’ha fatto in punta di piedi. È arrivato pensando al suo futuro da calciatore, ma soprattutto a quello di uomo. Un fatto che non è passato inosservato e che è servito a farlo apprezzare ancora di più. Già, perché se c’è una regola (non scritta ma sacra) che vuole che alla Juventus si cerchino i grandi uomini, oltre che i grandi atleti, ebbene anche questa volta la dirigenza ha visto giusto.
Federico è il classico ragazzo che si va voler bene da tutti. Educato, sereno, sempre allegro e disponibile. Un ragazzo molto più maturo di tanti suoi coetanei ventiquattrenni. E non solo per quella creaturina (la piccola Lucrezia, nata a settembre) che lo aspetta a casa e che gli fa luccicare gli occhi ogni volta che la nomina. Un ragazzo che intanto, partita dopo partita, si sta facendo conoscere e stimare. Insomma, c’è chi per lui prevede un lungo cammino in bianconero, proprio seguendo le orme di Gianluca Pessotto. Professionalmente e umanamente.
E allora via con la chiacchierata, per la quale abbiamo scelto uno dei luoghi simbolo di Torino: il Monte dei Cappuccini, con tanto di vista della città e del Po, il fiume che Federico ha metaforicamente attraversato questa estate. Avresti mai pensato a un’intervista su “Hurrà Juventus”? «Devo essere onesto, venire qui era l’ultima cosa che mi sarei aspettato e forse non l’avevo mai presa in considerazione nei miei obiettivi. Comunque, quando mi è stata proposta l’eventualità del trasferimento, non poteva che farmi grande piacere».
Si è scritto e detto molto sul tuo passaggio da una sponda all’altra di Torino. Certo, la tua è stata un’estate intensa: «Direi turbolenta. La promozione in Serie A me la sono goduta solo un paio di giorni. Quando sono uscite le prime notizie sui problemi societari del Torino, ero in vacanza e la situazione l’ho seguita marginalmente. Poi il periodo del ritiro estivo vissuto in condizioni incredibili, con tante promesse mai mantenute. E infine il mio arrivo qui. Ora comunque è tutto passato e ultimamente le cose stanno andando bene».
Raccontaci brevemente la tua storia calcistica: «Al Torino ho fatto dai Primi Calci fino alla Primavera, squadra in cui ho giocato un anno vincendo la Coppa Italia. La carriera da professionista è iniziata con i prestiti, due anni a Varese in C1 e uno a Siena in B. Infine il rientro al Toro, dove ho disputato le ultime tre stagioni, la prima in A e le altre in B. E oggi sono qui».
Una vita quasi tutta granata, quindi. Cosa ti hanno detto in famiglia dopo il tuo passaggio in bianconero? «Erano contentissimi, anche perché mio papà Piercarlo e mia sorella Grazia sono da sempre tifosi juventini. Pensa che mio padre non è ancora venuto allo stadio, forse per la troppa emozione di vedermi giocare nella sua squadra del cuore. Comunque, la decisione è stata collegiale, l’ho presa insieme a loro e alla mia compagna Jessica, che in quel momento era al nono mese di gravidanza. In questa scelta ha influito sia l’uomo che il calciatore. Quella juventina era l’offerta più allettante, ma ho pensato anche ai miei cari. Non potevo andar via da Torino in un momento così importante della una vita».
Famiglia OK. E i tuoi amici? «Ho tanti amici, sia juventini che granata. Loro, ma anche i miei ex compagni, non hanno avuto il minimo dubbio e sono stati felici della scelta e orgogliosi di me».
Come ti senti dopo oltre cinque mesi al di qua del Po? «Benissimo, non ho avuto nessun problema dal punto di vista dell’ambientamento. Ovvio che all’inizio avessi un po’ di timore, ma dopo due allenamenti è scomparso del tutto. I compagni e lo staff sono stati fantastici nell’accogliermi all’interno del gruppo».
Juventus da fuori e da dentro, cambia la visione? «Nell’ambiente Toro, la Juventus è sempre stata vista conte la rivale numero uno, benché gli obiettivi fossero davvero diversi. Osservata da fuori, da avversario, quella bianconera è una società che dà proprio l’impressione di essere forte, organizzata e con pochi punti deboli. E ora che sono dentro non posso che confermare questa sensazione».
Mister Capello ha sempre parlato bene di te. «Se sono qui è perché lui ha dato il suo benestare fin dall’inizio. La fiducia da parte sua e del suo staff non è mai mancata. Mi sono stati tutti molto vicini, incoraggiandomi, dicendomi di non mollare e facendomi capire che il mio lavoro era apprezzato. Mi hanno sempre fatto sentire importante, al di là delle partite disputate. Poi, si gioca in undici e il gruppo è di venticinque, l’allenatore deve fare delle scelte e dal suo punto di vista non è certamente facile lanciare un giovane in una società del genere, ci va il giusto tempo e vanno anche rispettate determinate gerarchie. L’importante è farti trovare pronto, fisicamente e mentalmente, quando vieni chiamato in causa».
Vero. Vedendoti giocare, l’impressione è proprio quella di una gran forza mentale. «Io non sento molto le pressioni, soprattutto a livello di testa, e questo credo sia un bene. Per esempio, il fatto di esordire con la maglia della Juventus a Barcellona, davanti a 100.000 persone, non mi ha pesato affatto, nonostante fossi abituato a giocare in ben altri stadi».
Già, quel dribbling di tacco sulla linea di fondo ai danni di Messi, non proprio uno qualunque. «È il ricordo più forte che ho di questi primi mesi, forse era la prima palla che toccavo. È stato proprio frutto del fatto di star bene a livello di testa e della serenità che mi porto dentro e che vivo a casa quotidianamente».
Abbiamo parlato dei compagni e del mister. Veniamo ai dirigenti. «Innanzitutto mi hanno subito fatto capire che mi prendevano con l’intenzione di farmi restare. La prima impressione è quella di grande serietà e organizzazione. Sono sempre presenti, ti seguono durante gli allenamenti e le trasferte, insomma ti mettono nelle condizioni di dover solo pensare a giocare e a nient’altro».
L’ultima componente: i tifosi. I tuoi nuovi tifosi, quelli della Scirea. Ma non solo loro. «L’accoglienza mi è sembrata buona anche da parte loro. Certo non possono ancora essere affezionati a me, ma il fatto che non mi abbiano mai fischiato per il mio passato, mi ha fatto molto piacere. Ho già avuto modo di parlare con alcuni di loro, mi hanno anche invitato agli incontri con i loro club. Ma per ora preferisco aspettare, voglio dimostrare prima sul campo il mio valore e far sì che loro si affezionino a me per il mio apporto alle vittorie del gruppo. Il resto arriverà in modo naturale».
Estate a parte, il tuo è stato un 2005 da ricordare. Quella notte di settembre a Bruges. Cosa ti viene in mente? «Il giorno quattordici, proprio come il mio numero di maglia, un bel segno del destino. Eravamo in albergo e il mio telefonino non raggiungeva il segnale, fortunatamente Jessica aveva il numero del nostro Team Manager Alessio Secco. È venuto lui a cercarmi in camera. Ho passato il resto della notte insonne nella stanza dei massaggi per evitare di disturbare Abbiati, il mio compagno di stanza, che il giorno dopo doveva giocare. Non so se il mister avesse in programma di farmi giocare e se cambiò idea per questo fatto, resta comunque un ricordo incredibile».
Poco male, l’esordio in Champions è stato solo rimandato. «Ho rimediato a Vienna, un’altra grandissima emozione. Questa competizione ha qualcosa di particolare, un’atmosfera che respiri già nell’allenamento di vigilia o durante l’esecuzione dell’inno pre-gara, sensazioni magiche anche perché tutti da bambini sognano di giocare in Coppa dei Campioni o in Nazionale. Ci sono sicuramente pressioni in più rispetto alle normali sfide di campionato considerata la voglia di tutto l’ambiente di centrare questo traguardo».
Quali erano gli obiettivi che ti eri posto al tuo arrivo? E a che punto credi di essere arrivato? «All’inizio l’obiettivo era quello di dimostrare di poter far parte di questo gruppo, non ho mai pensato “vado e gioco”, non ho questa presunzione. Fin da piccolo sono sempre stato abituato a lottare per un posto, l’unica stagione in cui sono partito titolare fisso è stata l’ultima al Torino. A che punto sono? In parte credo di averlo raggiunto, mi sono già tolto qualche soddisfazione, nonostante in tanti credevano che non fossi altezza per rimanere in questo gruppo. Devo ancora dimostrare tanto, ma l’essere partito titolare in alcune gare e l’aver esordito in Champions sono motivi d’orgoglio».
Ti faccio il nome di alcuni tuoi compagni. Partiamo da Gianluca Pessotto. «Mi è stato molto vicino, soprattutto all’inizio, mi ha spiegato com’era la situazione e quello che aveva vissuto lui dopo il suo passaggio dal Toro alla Juve. Abbiamo un po’ le carriere simili, visto che entrambi siamo stati anche a Varese. È un professionista esemplare, un punto di riferimento e un esempio per tutti. Mi piacerebbe riuscire a fare quello che ha fatto lui in questi anni, non solo in campo».
Proseguiamo con Gianluca Zambrotta. «L’ho sempre detto che lui è uno dei giocatori a cui mi sono ispirato. Da quando gli hanno cambiato il ruolo ed è diventato difensore è uno dei migliori, da continuità alle sue prestazioni, fornisce assist, difende bene, ha una forza impressionante, una tecnica eccezionale e fa le cose a una velocità incredibile. Giocare con lui non può che migliorarmi».
Chiudiamo con il tuo gemello Pavel Nedved. «Quando sono arrivato, ci scambiavano per fratelli. Mi sono dovuto tagliare i capelli per evitare che ci confondessero. È un modo anche questo per farmi sentire ancora di più parte integrante di questo gruppo. Poi, mica ho scelto uno a caso, niente meno che il Pallone d’Oro!»
Infine un accostamento illustre, quello con il vicepresidente Roberto Bettega. «È vero, anche lui aveva giocato a Varese ed è nato a Torino. Sono l’unico torinese in squadra e mi hanno detto che da alcuni di anni non ce n’era uno. Un’altra cosa che noti può che farmi piacere».
Un torinese protagonista a Torino. Che legame hai con la tua città? «È la città in cui sono nato e in cui voglio vivere quando avrò smesso di giocare. Sono cresciuto alle porte della città, a Grugliasco, e mi sono trasferito solo da tre anni, cioè quando sono andato a convivere con la mia compagna. Il legame è fortissimo, mi piace tanto, è bellissima e purtroppo sottovalutata».
Le Olimpiadi arrivano nel momento giusto. «Speriamo che questi giochi servano a valorizzarla come merita. Torino è una città con mille risorse, il traffico non è esagerato, ha delle zone splendide, molto vivibile. Ripeto, è descritta male all’esterno. Infatti, tutti i compagni che sono venuti ad abitarci l’hanno rivalutata e qui si trovano benissimo».
Veniamo a te. Come ti descriveresti al di fuori del campo? «Sono una persona tranquilla, che sorride sempre. È difficile vedermi arrabbiato o imbronciato, sono felice della mia vita e non perdo certo il sorriso per una partita andata male, ben sapendo che tre giorni dopo ce n’è un’altra per il riscatto. Vivo molto serenamente le cose, sia nel bene che nel male. Mi piace divertirmi e uscire, anche se da quando è arrivata Lucrezia i ritmi sono cambiati, adesso il tempo libero è dedicato a lei, punto e basta. Per il resto sono come tutti i ragazzi della mia età, mi piace il cinema e la musica ed ho un po’ il vizio per i vestiti e l’abbigliamento».
Per chiudere passato e futuro insieme. Come te lo immagini un prossimo derby? «I derby sono sempre stati molto sentiti dall’ambiente torinista, basti pensare che i tifosi granata venivano a tifare anche durante le sfide giovanili, segno che la stracittadina vera e propria a loro manca davvero tanto. Detto questo, mi auguro possa esserci presto. Il pensiero di questa partita mi fa sorridere perché immagino quella che potrà essere l’accoglienza, ma non vedo comunque l’ora di giocarla».