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Dimarco: "Al Sion mi sono allenato con con le forze speciali francesi. Ci facevano sparare"
Federico Dimarco, calciatore dell'Inter e della Nazionale italiana, ha rilasciato una lunga intervista a Gianluca Gazzoli, autore del podcast "Passa dal basement". "Quando scendo in campo con la maglia dell'Inter cerco di essere me stesso, come sono fuori. Sono competitivo, cerco sempre di aiutare il mio compagno e dare uno stimolo in più. Alcune gare dell'Inter hanno un'importanza diversa, cerco sempre di dare il mio contributo con una parola in più e mi piace. Devo tanto a quello che ho vissuto e passato nel settore giovanile, a quello che mi hanno insegnato. Sono cose che cerco di portarmi dentro e fuori dal campo", ha detto il terzino nero-azzurro.
Grande momento per te, sia con l'Inter che in Nazionale. In tanti parlano del tuo talento: ogni tanto ti fa sorridere, perché erano gli stessi che prima ti criticavano?
"Per me è sempre bello leggere i complimenti. Non mi piace paragonarmi con nessun giocatore, ognuno ha una storia a sé. Non mi fanno impazzire i paragoni, anche se ovviamente leggersi accostati a delle leggende fa piacere. Nel calcio si vive di momenti, nell'Inter ne ho vissuti di belli e di brutti. Quando perdiamo una partita, vedi la finale di Champions, vado in down totale. Poi analizzo le cose e cerco di ripartire, fissandomi degli obiettivi. Così è successo l'anno che abbiamo perso la finale. Finita la Nazionale son tornato a Milano e ho detto a tutti che volevo vincere il campionato. Fortunatamente è andata così ed è stata una bella rivincita".
Un retroscena sull'avventura al Sion: "Parto benissimo col Sion, prima gara di campionato e rottura del metatarso: quattro mesi fermo. Rientro che era cambiato l'allenatore, a gennaio siamo ultimi e penultimi e succede una cosa folle. Il presidente ebbe la bella idea di mandarci una settimana a fare il militare con le forze speciali francesi, per punizione visto che eravamo ultimi. Abbiamo dormito nei campi col sacco a pelo. La mattina alle 6 svegli, a camminare 5-6km, fino a che mangiavamo dentro le scatolette che scaldavamo col fornetto. L'abbiamo fatto a inizio gennaio, durante la sosta invernale. Quando me l'avevano detto non volevo andare, ma se lo facevi non ti pagavano. Un'esperienza estrema, addestramenti in cui ci facevano anche sparare. Era una punizione perché eravamo ultimi. Al rientro eravamo più carichi, ma io ho discusso con l'allenatore e non ho più giocato fino a fine anno".
Grande momento per te, sia con l'Inter che in Nazionale. In tanti parlano del tuo talento: ogni tanto ti fa sorridere, perché erano gli stessi che prima ti criticavano?
"Per me è sempre bello leggere i complimenti. Non mi piace paragonarmi con nessun giocatore, ognuno ha una storia a sé. Non mi fanno impazzire i paragoni, anche se ovviamente leggersi accostati a delle leggende fa piacere. Nel calcio si vive di momenti, nell'Inter ne ho vissuti di belli e di brutti. Quando perdiamo una partita, vedi la finale di Champions, vado in down totale. Poi analizzo le cose e cerco di ripartire, fissandomi degli obiettivi. Così è successo l'anno che abbiamo perso la finale. Finita la Nazionale son tornato a Milano e ho detto a tutti che volevo vincere il campionato. Fortunatamente è andata così ed è stata una bella rivincita".
Un retroscena sull'avventura al Sion: "Parto benissimo col Sion, prima gara di campionato e rottura del metatarso: quattro mesi fermo. Rientro che era cambiato l'allenatore, a gennaio siamo ultimi e penultimi e succede una cosa folle. Il presidente ebbe la bella idea di mandarci una settimana a fare il militare con le forze speciali francesi, per punizione visto che eravamo ultimi. Abbiamo dormito nei campi col sacco a pelo. La mattina alle 6 svegli, a camminare 5-6km, fino a che mangiavamo dentro le scatolette che scaldavamo col fornetto. L'abbiamo fatto a inizio gennaio, durante la sosta invernale. Quando me l'avevano detto non volevo andare, ma se lo facevi non ti pagavano. Un'esperienza estrema, addestramenti in cui ci facevano anche sparare. Era una punizione perché eravamo ultimi. Al rientro eravamo più carichi, ma io ho discusso con l'allenatore e non ho più giocato fino a fine anno".
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