Come fare in modo che l’epoca di questa Inter non finisca mai
La storia dell’Inter ha sempre vissuto di alti e bassi, di imprese straordinarie accompagnate da periodi di digiuno. Rispetto all’élite del calcio internazionale l’epica nerazzurra ha vissuto più momenti di pausa, attraversando errori di concetto, sbagliando il calciomercato o magari scontrandosi contro logiche politiche, solo parzialmente rivelate dagli eventi di calciopoli, che in questi anni sono stati affannosamente rimodellati da chi aveva interesse a farlo.
La storia calcistica in Italia ha tanti segreti taciuti che hanno un’assonanza con la politica, dalla quale l’Inter si è tenuta sempre ingenuamente a distanza, pagando un prezzo molto alto.
Il candore societario è stato abbandonato definitivamente negli ultimi anni. Forse non esiste una vera e propria data di riposizionamento istituzionale del club ma di sicuro l’arrivo di Marotta ha certificato il cambio di paradigma.
Oggi sappiamo che si può essere competitivi ai massimi livelli, anche senza dover fare investimenti sanguinosi.
Abbiamo imparato che si può competere anche in Europa, pur non avendo le stesse disponibilità economiche di Bayern, Real, Manchester City ecc…
Abbiamo constatato che la continuità di rendimento non è una chimera e che si possono vincere trofei ogni anno, anche rinunciando a campioni o a falsi profeti, si può giocare bene a calcio e lo si può fare con un progetto tecnico serio e si può avere un allenatore che vince, anche se non ha il carattere dirompente di Herrera, Trapattoni, Mancini e Mourinho, quando ci si affidava totalmente ad ognuno di loro.
Abbiamo infine compreso che persino l’Inter può essere considerata potente, frustrando gli avversari fino ad indurli a credere che Marotta davvero amministri il calcio e lo manipoli a piacere e in favore della squadra di cui ora è presidente.
L’aspetto tragicomico delle convinzioni popolari risiede nel principio che per una vita il tifoso nerazzurro, e con lui i suoi dirigenti, è stato dipinto come personaggio tendente all’autocommiserazione, alle lagnanze e alle rimostranze prive di fondamento.
Oggi quello stesso movimento di pensiero tifoideo, quello che sussiegosamente sfotticchiava, si vittimizza, accusa, avvelena i pozzi, lancia sospetti, intorbidendo le opinioni con allusioni sulle vittorie dell’Inter e chiudendo con l’ormai celebre e mediocre claim: “Marotta league”.
L’attualità delle cose dice che c’è un vuoto di potere nel quale Berlusconi non c’è più e gli Agnelli non sono più verticalmente dentro la Juventus. In tutto questo Marotta ha trovato un ruolo di cui il calcio italiano ha bisogno, ma che può sfruttare solo parzialmente, considerando che il legame con l’Inter è tale da non poterlo avere a tempo pieno.
Il vero problema è che non ci sono altri Beppe Marotta in giro.
Questa è la discriminante che impedisce di essere sicuri che l’Inter possa restare quella di oggi il giorno in cui lui non sarà più presidente.
La vera difficoltà sta proprio nel non sapere chi possa sostituire un giorno una figura tanto centrale. Ne sa qualcosa la Juventus che, dopo il suo addio, non ha saputo proseguire allo stesso modo ed anzi ha vissuto una crisi strutturale.
L’Inter ha una proprietà rassicurante dal punto di vista della solidità, ma apertamente di passaggio, comunque non radicata in Italia o sfuocata, perché per definizione un fondo non vive di protagonismo ma di progettualità aziendale, tale da consentirle di valorizzare il suo investimento.
Il fatto è che in l’americanizzazione delle proprietà italiane un po' spaventa, se guardiamo a quello che sta accadendo a Milan e Roma.
Per questo serve una figura che ad oggi non sembra esistere o un modello di lavoro che Oaktree intenda proseguire, sperando insomma che la società stia imparando ad essere grande, prescindendo da chi la governa, perché questa Inter, diciamolo senza imbarazzo, ci sta davvero viziando tanto.