Calhanoglu, caso chiuso. Se proprio c'era il bisogno di crearne uno. E Montella non ha colpe
Finisce qui la telenovela che nessuno aspettava, ma che quantomeno ha animato l'ennesima sosta nazionali. Hakan Calhanoglu e infortunio in Nazionale: "Gioca o non gioca?", "Ma come sta?", "Perché non torna all'Inter?", sono solo alcune delle domande ripetitive e ricorrenti dei tifosi circolate in questi giorni. Tutto fermentato dal terrorismo collettivo di chi ha calcato la mano sulla vicenda. Eppure quante verità sono venute a galla nelle ultime ore...
Primo. Calha ha mantenuto la parola data: "Non giocherò". E infatti con il Montenegro, nell'ultima partita decisiva per acquisire la promozione nella lega superiore, non solo non ha giocato ma è rimasto addirittura fuori dall'elenco dei convocati - ergo, nemmeno in panchina - di Vincenzo Montella.
A proposito di quel cattivone. Il ct italiano della Turchia che non ha voluto lasciar partire Calhanoglu in un momento così delicato e cruciale per la sua Nazionale, danneggiando l'Inter e per certi versi anche il giocatore. Tesi prontamente stroncata dalla base fondante del calcio - come di tante altre aree di vita: il capitano non abbandona mai la sua nave. Perciò è stata tralasciata la possibilità che fosse stato lo stesso Calhanoglu a pregare l'Inter di non rientrare subito a casa base, semplicemente per questione di fedeltà nei confronti del suo Paese. Intanto è stato bersagliato chi, come Montella, solitamente dà semaforo verde ai suoi giocatori per levare le tende in anticipo, avendo quindi il potere decisionale assoluto; tacciato indirettamente di non consultare o addirittura ignorare la posizione di un qualsiasi membro della sua squadra.
Morale? "Ho deciso di rimanere qui con la Nazionale. Dico grazie all'Inter e al presidente Marotta che mi hanno concesso di restare comunque qui con i miei compagni". Dichiarazioni di Calhanoglu che rispecchiano la più genuina volontà del turco di svolgere il ruolo di capitano in spogliatoio, nonostante l'infortunio all'adduttore sinistro e l'indisponibilità, rimanendo al fianco della sua Turchia ma dagli spalti. Un sacrosanto diritto che, volente o nolente, va accettato. Senza discutere. A prescindere dal risultato maturato dal confronto fallimentare col Montenegro (3-1 e valle di lacrime per gli ottomani, che si fanno sfilare la promozione dal Galles).
E poi diciamoci la verità: è stata una lagna inutile quella propagata in questi giorni. Un turbinio di sensazioni negative, apprensioni e terrorismo collettivo fagocitato dai sostenitori più accaniti dell'Inter e i beniamini di Calhanoglu che non hanno pensato ad altro che al bene dell'Inter, con la mente offuscata dal tifo sfrenato e nulla di più. Perché al rientro dalla sosta si ripartirà a cannone tra campionato (Verona) e Champions League (Lipsia), con un ritmo no stop fino alla semifinale di Supercoppa italiana il 2 gennaio con l'Atalanta.
Intanto gli esami strumentali svolti in ritiro con la Turchia parlano chiaro: Hakan non ha riportato alcuna lesione. Ergo (ancora), non si tratta di un infortunio grave, come per altro ha confermato lui stesso. Perciò che differenza avrebbe fatto trascinarlo con forza a Milano per eseguire ulteriori accertamenti e lasciarlo parcheggiato tra l'infermeria e i box? Nessuna.
Ed è qui che emerge la grandezza dell'Inter. Non solo la capacità di comprensione della richiesta di Calhanoglu, ma anche la gestione di una situazione spinosa, risolta con fare diplomatico e a stretto contatto con la Nazionale e Montella. Senza generare frizioni inutili. Con i nerazzurri a mostrare grande rispetto e riconoscenza per un giocatore che ha dato anima e corpo per la maglia nerazzurra, fin dal suo arrivo dal Milan. Conquistando anche in questa maniera la fiducia e l'amore incondizionato della piazza.
Arriviamo ora al punto cruciale: ci sarà con l'Hellas Verona? La Serie A schiaccerà il tasto "continua" e ripartirà sabato pomeriggio, proprio dall'Inter attesa al Bentegodi dalla banda di Zanetti. Prima però Inzaghi e il suo staff valuteranno con estrema attenzione i nuovi esami che Calhanoglu svolgerà non appena rimetterà piede ad Appiano (oggi) e solo poi si deciderà il da farsi. Se privilegiare la vecchia e saggia strada del "prevenire è meglio che curare", o se esaudire il desiderio del nerazzurro di scendere subito in campo. Per scacciare ogni sorta di polemica e chiacchiericcio sul suo conto per tornare a sentire urlare il suo nome dallo speaker e dai suoi tifosi. Nonché fedelissimi. Altrimenti toccherà ad uno tra Asllani, Zielinski o Barella, tutti esperimenti già tentati e riusciti da Inzaghi in cabina di regia, tranne l'albanese in tempi recenti.