Cuore Bergomi: "Brucia lo Scudetto '98. Amo l'Inter, Facchetti provò..."
Solo qualche scellerato potrebbe mettere in discussione l'amore di Giuseppe Bergomi per la casacca nerazzurra. L'ex capitano nerazzurro, oggi è il più stimato commentatore di SkySport, sebbene molti lo critichino per le presunte critiche eccessive che rivolgerebbe al club di Moratti. Ovviamente poco gradito dai tifosi di Juventus e Milan in particolare, Bergomi non piace troppo nemmeno agli interisti, e qualcuno è arrivato a pensare che abbia il dente avvelenato con Moratti per l'addio prematuro al nerazzurro. Anche per queste cose l'Italia calcistica resta sempre un passo dietro agli altri.
Lo Zio, come lo soprannominò Marini, si è confessato a Sky in una puntata dei 'Signori del calcio', e nella chiacchierata ha toccato anche questa nota dolente. "Quando ho deciso di fare questa carriera ero consapevole dei rischi. Commenti la tua squadra del cuore, perché solo io so i sentimenti che provo per l'Inter, ma dinanzi c'è un'altra italiana, per cui se c'è da criticare lo devi fare. Ma una critica deve essere sempre costruttiva". Poi, dopo il racconto degli inizi ("Feci due provini col Milan, mi avevano preso, ma poi avevo dei problemi di reumatismi al sangue e mi scartarono") e del suo rapporto con gli allenatori ("Devo tanto a Venturi, Bersellini, Bearzot e Trapattoni"), ricorda i momenti più difficili della sua carriera. "Certamente la scomparsa di mio padre mi segnò. Avevo 16 anni, ero a Lipsia con la Nazionale giovanile, e dovetti tornare di fretta in Italia. Poi, proprio a Lipsia, ci fu il mio esordio con la Nazionale maggiore: corsi e ricorsi... A livello sportivo, il Mondiale 1990 resta una ferita aperta: eravamo fortissimi e avessimo giocato a Roma, saremmo andati in finale. Sono convinto che poi avremmo vinto anche contro la Germania, peccato. Non me ne vogliano gli amici napoletani, ma Maradona fu bravissimo e al San Paolo trovammo un clima particolare: applausi, ma anche fischi perché quell'Italia di Vicini era soprattutto formata da interisti e milanisti. Poi brucia tanto lo Scudetto del '98. L'Inter lo meritava e non vincemmo per episodi. Non voglio aprire polemiche, perché il calcio italiano non ne ha bisogno adesso, però ci furono tante cose che portarono a sbottare nel match di Torino con la Juve, quello del rigore su Ronaldo. Vedere un vero signore come Simoni agire così, fa male. Era una catena di fatti, non solo quella giornata. Io, ad esempio, ero squalificato. Ricordo che con l'Udinese, prima della Juve, ero diffidato, ma giocai perché si doveva vincere. Al primo fallo fui ammonito... Oggi ci ripenso e dico: per fortuna non c'ero contro la Juve. Non so quali reazioni avrei avuto". Sui compagni: "Marini e Muraro mi aiutarono tantissimo da giovane. Sono cresciuto con Ferri. I più forti? Ronaldo e Matthaeus, e se devo sceglierne uno dico il tedesco per la mentalità vincente. Ma quello che ho visto fare a Ronaldo, non l'ho visto fare a nessuno". Infine, si torna a parlare del suo brusco addio all'Inter. "Era il primo anno di Lippi e Moratti mi disse che gli lasciava carta bianca. Per Lippi non rientravo nei piani, ma dissi al presidente che io non volevo il posto fisso e che avrei potuto dare una mano a Marcello nello spogliatoio. Alla fine le strade si separarono con mio immenso dispiacere: scelse Lippi, anche se penso che l'ultima parola in un club poi spetti sempre al presidente. Tornare? E' molto complicato. Io non ho mai chiesto nulla, mi accontenterei anche di allenare i pulcini... L'unico che ha provato a riportarmi all'Inter è stato Facchetti - ricorda Bergomi - ma per motivi diversi non se ne fece nulla. Per questo lo ringrazierò per sempre".