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tmw / fiorentina / Editoriale
Acquistato OBLOMOV: l’unico titolare fisso alla JuventusTUTTO mercato WEB
ieri alle 23:59Editoriale
di Roberto De Frede
per Bianconeranews.it

Acquistato OBLOMOV: l’unico titolare fisso alla Juventus

«Non è mai troppo tardi per diventare chi vuoi essere. Spero che tu viva una vita di cui essere orgoglioso, e se scopri che non lo sei, spero che tu abbia la forza di ricominciare da capo». (Francis Scott Fitzgerald)

Ormai è chiaro, non c’è alcun dubbio, il nuovo calciatore titolare fisso dei bianconeri è il russo Oblomov, e tutti gli altri, nessun dipendente della società escluso, lo imitano alla perfezione, quasi come fossero contagiati da oblomovismo. Certo non può essere definito proprio l’acquisto del secolo, nulla a che vedere con i suoi conterranei Eduard Streltsov o Oleg Blochin. Infatti, prima di vestire la maglia bianconera, Oblomov signorotto di campagna trasferitosi a San Pietroburgo, si manteneva grazie alle rendite provenienti dai suoi possedimenti, che però stavano progressivamente calando a causa di una cattiva amministrazione. Lì, probabilmente un maggiordomo fortemente miope fedelissimo alla Vecchia Signora, vedendolo e rimanendone entusiasta, lo ha portato con sé a Torino...

Oblomov conduce un'esistenza all'insegna dell'indolenza e di un esasperante immobilismo, proprio come lo si è visto in campo, arreso incondizionatamente nella muta partita contro il PSV e nella inerme agghiacciante sconfitta contro l’Empoli: pigro, neghittoso, inerte, letargico, indolente, rassegnato, fatalista, passivo, statico, inetto, apatico, assente, autoindulgente, autocommiserante, abulico. Il suo nome è assai evocativo: oblom in russo significa “essere spezzati”, “aver fallito”. Quindi Oblomov è “colui che ha fallito” per infingardaggine e stanchezza mentale, per assenza di volontà e cattiva propensione alla gloria, vizi che tiranneggiano l’uomo che non ha più un progetto concreto nella vita. Egli è anzi indifferente alla vita e non si ribella neppure, né si rassegna, ma arriva ad annullare completamente ogni pulsione. Lo descrive così Gončarov nel suo capolavoro del 1859: «Non v’era segno di un’idea ben definita, né di una qualunque forma di concentrazione mentale. Il pensiero gli passava sul volto come un libero uccello dell’aria, svolazzava negli occhi, si posava sulle labbra socchiuse, si nascondeva tra le rughe della fronte, per sparire poi completamente, e allora su quel volto splendeva soltanto la tranquilla luce dell’indolenza. Dal volto, l’indolenza si comunicava all’atteggiamento di tutta la persona, e persino alle pieghe della vestaglia

Oblomov passa le sue giornate senza fare nulla, in uno stallo esistenziale apparentemente senza via d’uscita. Resta dalla mattina alla sera sdraiato mollemente sul divano, in vestaglia, circondato da un ambiente polveroso e in abbandono che un vecchio domestico cerca di curare come meglio può. Eppure non è triste, non è lamentoso, ha per se stesso una sorta di pietà vergognosa, infantile; ma intorno a lui, chi lo ha caro è colto da disperazione, e vuole, vorrebbe, fantastica di salvarlo. Salvarlo da cosa? Egli non è neppure in pericolo di vita, perché ha perso ogni slancio vitale, per questo l’ipotesi del suicidio non rientra tra i suoi pensieri.

Ogni tanto riceve la visita del vecchio amico d’infanzia Stoltz (parola che in tedesco significa “orgoglio”), un giovane di origini tedesche che ha fatto fortuna e che tenta di spronarlo ad una vita più attiva. Stoltz rappresenta il dinamismo del mondo moderno, l’uomo dinamico, operoso, tenace, vincente e ha un atteggiamento pratico verso la vita che contrasta nettamente con quello di Oblomov, il “calciatore” che oggi veste tristemente di bianconero.

È pur vero che a Oblomov non mancano le doti morali e intellettuali. Anzi, è un gentiluomo, un uomo profondamente sincero e onesto. La sua abulia si sposa con una dirittura morale altrettanto solida, tanto è che l’amico dice di lui: «non ha resistito agli urti, si è raffreddato, s’è infine addormentato, annientato, disillluso, dopo aver perduto la forza di vivere, ma non ha perduto l’onestà né la fedeltà. Il suo cuore non è corruttibile, ci si può fidare sempre». Non basta purtroppo nel calcio tutto questo, nonostante i tifosi juventini di tutto il mondo sono ancora là, fiduciosi della loro Vecchia Signora.

Alla fine del romanzo quando a Stoltz gli viene chiesta la causa della morte dell’amico, chiosa: “La causa...quale causa! L'oblomovismo!”.

Ormai lo spettro di Oblomov (Juventus d’oggi) e dell’oblomovismo sono virus entrati di prepotenza nella macchina-Stoltz (Juventus di ieri), creando un mondo dove risuonano non le armonie sublimi degli usignoli, ma quelle goffe delle quaglie.

Cari Lettori, anche se la fotografia metaforica da me descritta fa molto male e non vi nascondo che il primo a patirla immensamente sono proprio io, non vi immalinconite. Sulla nostra pelle abbiamo compreso che i virus, con immane fatica, si sconfiggono. La Juventus, quella vera, dovrà faticare tanto e da subito, ma alla fine sono convinto che piegherà una volta per tutte il fantasma di Oblomov e ritornerà ad essere la squadra temuta, rispettata e vincente di sempre.

Roberto De Frede