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ESCLUSIVA TC - ROBERTO QUAGLIOZZI: "Il mio ricordo più bello è l'esordio in serie A con la maglia rossoblù numero 11 di Gigi Riva, nel 1974. E che squadra eravamo nei primi anni Ottanta! Un gruppo di grandi giocatori e amici. Sfiorammo la Uefa"TUTTO mercato WEB
giovedì 4 luglio 2024, 18:00Primo piano
di Matteo Bordiga
per Tuttocagliari.net

ESCLUSIVA TC - ROBERTO QUAGLIOZZI: "Il mio ricordo più bello è l'esordio in serie A con la maglia rossoblù numero 11 di Gigi Riva, nel 1974. E che squadra eravamo nei primi anni Ottanta! Un gruppo di grandi giocatori e amici. Sfiorammo la Uefa"

Per dodici stagioni ha vissuto, a Cagliari, sull’ottovolante tra la serie A e la serie B. Il suo apporto alla squadra, sia dal punto di vista quantitativo che sotto il profilo qualitativo, non è mai venuto a mancare. Anzi, si è distinto come uno dei centrocampisti più dinamici, intraprendenti e prolifici della storia recente del club coi quattro mori sul petto.

Roberto Quagliozzi, come un intrepido marinaio, ha attraversato mari tempestosi in maglia rossoblù: è stato protagonista e testimone della dolorosa retrocessione che ha segnato l’ultimo anno con il leggendario numero 11 sulla schiena di Sua Maestà Gigi Riva (1976), ma anche uno degli alfieri dei ruggenti campionati disputati all’alba degli anni Ottanta, in cui la ciurma di Mario Tiddia centrò due sesti posti consecutivi in serie A.

Roberto, a quale stagione in maglia rossoblù è legato il suo ricordo più luminoso? E quale è stato, invece, il momento che non avrebbe mai voluto vivere?

“Il momento peggiore è coinciso con la retrocessione del 1976, l’anno dell’infortunio e del ritiro di Riva. Quel risultato sportivo ha idealmente - e definitivamente - chiuso la parabola del grande Cagliari scudettato. La gioia più grande è stata rappresentata dall’esordio in serie A con il Cagliari, avvenuto a Napoli nel 1974: in quell’occasione scesi in campo proprio con la maglia numero 11, perché Gigi era infortunato. In più dovetti marcare Juliano, che era considerato l’elemento di maggior spessore del Napoli. Tutto sommato andò bene, ma quella casacca era incredibilmente pesante da portare: suonava come un’investitura…”

Che ricordi ha invece del suo Cagliari versione primi anni Ottanta? Quella squadra sbarazzina giocava un gran calcio e, tra l’altro, sfiorò la qualificazione in Coppa Uefa.

“Partì tutto dal campionato successivo alla retrocessione del 1976. Con Toneatto sfiorammo il ritorno immediato in serie A, sfumato solo agli spareggi. Se penso che non fummo promossi solo per colpa di quella famosa arancia lanciata dalle tribune, che ci fece perdere a tavolino il match casalingo col Lecce, mi arrabbio ancora oggi. Per noi fu un brutto colpo, perché la promozione l’avremmo meritata sul campo. Poi, psicologicamente condizionati da quella penalizzazione, affrontammo gli spareggi col morale sotto i tacchi. E infatti venimmo eliminati. Ma stavamo ponendo le basi per gli anni seguenti, vissuti con Tiddia, che ci videro protagonisti assoluti in A. Eravamo un gruppo compatto, di amici prima che di compagni di squadra. In più avevamo quasi tutti la stessa età, ed eravamo l’unica formazione della categoria priva di stranieri. Praticavamo un calcio frizzante e aggressivo, direi già piuttosto moderno: a me piaceva particolarmente giocare a due tocchi.”

Che idea si è fatto del Cagliari di oggi, che stenta ancora a prendere forma? In attesa dell’ufficializzazione del tecnico, che ancora non è arrivata, tra addii e fine prestiti si fatica a intravedere un’intelaiatura solida di squadra.

“Francamente mi sembra strano che ci siano ancora ritardi e problemi con l’ingaggio dell’allenatore. Siamo ormai a luglio, tra poco inizierà il raduno estivo. Di acquisti inoltre ne vedo ben pochi. È vero che c’è stato un viavai di prestiti e rientri vari, ma anche lì: tu prendi un giocatore, ad esempio Oristanio, lo fai crescere, lo valorizzi e poi lo restituisci all’Inter, che sfrutta tutto il lavoro fatto da te e si ritrova in rosa un calciatore ormai maturo. Oggi purtroppo il calciomercato segue queste logiche, c’è poco da fare. Alle cosiddette ‘provinciali’, alla fine, non resta nulla in mano.

L’anno scorso Ranieri è stato bravo a condurre il Cagliari alla salvezza. Dubito che con un altro allenatore l’impresa sarebbe riuscita.”

A suo avviso in quali reparti la compagine rossoblù, in questo momento, ha maggiormente bisogno di rinforzi?

“Credo che sia importante e necessario intervenire in tutti e tre i reparti. Prendiamo ad esempio il centrocampo: oggigiorno c’è bisogno di gente che corra, che lotti, che sgomiti. Che faccia pressing. Non ci si può permettere di non correre: lo stiamo vedendo una volta di più negli Europei in corso. Formazioni come la Slovenia e la Slovacchia, tecnicamente inferiori alle big del Vecchio Continente, sopperiscono alle loro lacune con l’intensità, il pressing e i ritmi indiavolati. Aggrediscono e non fanno giocare gli avversari. Poi mi piacerebbe che i centrocampisti di oggi calciassero di più in porta dalla lunga e media distanza. Spesso, invece, mi danno la sensazione di voler entrare in rete col pallone. Questo vale anche per il Cagliari: con i palloni leggeri di oggi bisognerebbe tirare più spesso. Ai nostri tempi, quando i palloni erano di vero cuoio e pesavano maledettamente, Gigi Piras mi invitava sempre a calciare verso la porta, perché poi lui come un falco si sarebbe avventato sulla respinta del portiere e avrebbe segnato. E così puntualmente accadeva: Gigi era un autentico predatore d’area. Un rapace alla Filippo Inzaghi, capace di sfruttare ogni centimetro davanti alla porta su un qualsiasi rimpallo o palla sporca.”