Samardzic: "Ho scelto l’Atalanta per crescere e superare i miei limiti. Gasperini? Ti chiede solo di andare avanti e stare sereno"
Lazar Samardzic ha le idee chiare e non ha mai avuto dubbi su dove voleva proseguire la sua carriera: l’Atalanta è la scelta di un percorso che punta a superare i suoi stessi limiti. Nell’intervista rilasciata a Cronache di Spogliatoio, il giovane talento serbo svela il suo rapporto con il mister Gasperini e i compagni, le sue radici calcistiche e la crescita che lo ha portato a Bergamo. Una conversazione che evidenzia il lato autentico e determinato di Samardzic, focalizzato sul miglioramento continuo e su ciò che il calcio rappresenta per lui.
SULLA SCELTA DELL’ATALANTA
"Quando mi ha chiamato il direttore sportivo D’Amico, sapevo di voler venire qui. Non avevo incertezze perché l’Atalanta è una squadra in cui molti giocatori riescono davvero a sviluppare il proprio potenziale. Avevo grandi aspettative su quello che Gasperini avrebbe chiesto a me e alla squadra, e devo dire che le ha soddisfatte tutte. La sua mentalità mi piace molto: insiste sempre su un concetto, ovvero quello di portare palla agli attaccanti e affrontare il gioco con serenità".
IL RUOLO IN CAMPO
"Con l’Atalanta ho scoperto un posizionamento in campo che mi permette di avanzare di più rispetto a Udine, e mi sento a mio agio. Se potessi scegliere, mi piacerebbe agire alto a destra, perché da lì riesco a rientrare sul sinistro e tentare il tiro. Voglio migliorare in tante aree, ma soprattutto nei duelli fisici: so che al momento vinco meno confronti di quanto vorrei e ci sto lavorando".
IL RAPPORTO CON I COMPAGNI
"Mi sono trovato bene con diversi compagni, ma ho legato particolarmente con Kolasinac, Vlahovic e De Ketelaere. Charles è un esempio per me: è un giocatore che punta sempre a migliorarsi con impegno costante, e credo sia un modello di determinazione e serietà sul campo".
LE ORIGINI IN GERMANIA
"Sono nato a Berlino e lì ho iniziato a giocare per strada fin da piccolo. Ero sempre con un pallone, fin da quando avevo sei anni. Credo che quella libertà nel gioco sia stata fondamentale per sviluppare il mio lato tecnico. Ho sempre avuto il calcio nel sangue: è la mia passione più grande e stare in campo è come tornare a casa. La mia famiglia mi ha sempre sostenuto: mio padre, prima di diventare architetto, giocava a calcio a livello semi-professionale, e da mia madre, che fa l’estetista, ho preso un lato più introverso. Quando ho scelto la nazionale serba, è stato per seguire il mio cuore. Yildiz è un amico fraterno, ci sentiamo spesso e d’estate ci alleniamo insieme a Berlino".
GLI INIZI DI CARRIERA E GLI IDOLI
"L’esperienza al Lipsia è stata incredibile, perché in quel club non manca niente a un giovane calciatore. Ho mosso i primi passi nell’Hertha Berlino, ma già all’epoca arrivavano interessamenti importanti. Ricordo che una volta Kluivert, all’epoca responsabile del settore giovanile del Barcellona, è venuto a trovarci a casa per parlarmi della possibilità di trasferirmi da loro. Mi hanno anche invitato a visitare Milanello, ma con la mia famiglia abbiamo deciso di aspettare. È stato un momento particolare, soprattutto perché il mio idolo era Messi e la prima maglia che ho avuto è stata proprio quella del Barça".