L' Argentina del 1974, un fallimento che mise le basi per il trionfo del 1978
Un’avventura iniziata con grandi aspettative si trasformò in un doloroso fallimento.
Tuttavia, da questa delusione nacque la consapevolezza che avrebbe portato alla rinascita del calcio argentino.
Nel 1974, l’Argentina si presentava ai Mondiali di calcio in Germania con un bagaglio di delusioni e risultati altalenanti. La storia della Selección nei tornei iridati del dopoguerra era stata fin lì tutt’altro che gloriosa.
Eliminazioni nella fase a gironi nel 1958 e 1962, un’uscita controversa ai quarti di finale nel 1966 e, ciliegina sulla torta, la clamorosa mancata qualificazione per Messico 1970. Il calcio argentino brillava a livello di club, ma la nazionale faticava a trovare la sua dimensione.
La qualificazione: tra incertezze e colpi di scena
Il cammino verso Germania ’74 iniziò sotto la guida del “Cabezón” Enrique Omar Sívori, l’Argentina affrontò le eliminatorie contro Bolivia e Paraguay. Per la prima volta, furono convocati giocatori militanti all’estero, come Rubén Ayala dell’Atlético Madrid e il portiere Daniel Carnevali del Las Palmas.
La qualificazione fu tutt’altro che una passeggiata ma due vittorie in casa, un pareggio ad Asunción e un trionfo storico nell’altura di La Paz permisero all’Albiceleste di staccare il biglietto per la Germania. Particolarmente memorabile fu l’impresa della “Selección fantasma“, una squadra alternativa creata appositamente per giocare in altura in Bolivia. Nonostante la mancanza di supporto economico da parte della Federazione, questi “fantasmi” riuscirono a portare a casa due punti cruciali per la qualificazione (leggi qui la storia).
Ottenuto l’obiettivo, Sívori si dimise improvvisamente. Ancora una volta, emergeva la mancanza di un progetto coerente. La soluzione? Un triunvirato tecnico composto da Vladislao Cap, Víctor Rodríguez e José Varacka. Una scelta che oggi farebbe storcere il naso a molti, ma che all’epoca sembrò la via d’uscita migliore da una situazione di stallo.
La rosa: un mix di esperienza e gioventù
Nonostante le difficoltà, la rosa argentina per Germania ’74 non era affatto male sulla carta, con un mix interessante di veterani e giovani promesse. Tra i pali spiccavano tre nomi: Daniel Carnevali, che militava nel Las Palmas e fu scelto come titolare per la sua esperienza europea, il giovane Ubaldo Fillol, destinato a diventare una leggenda del calcio argentino, e l’esperto Miguel Ángel ‘Pepé‘ Santoro.
In difesa, il faro era senza dubbio Roberto Perfumo. L’unico sopravvissuto della spedizione mondiale del ’66, Perfumo portava l’esperienza maturata nel Cruzeiro e una leadership indiscussa. Accanto a lui, giocatori solidi come Enrique Wolff, Rubén Glaría e Francisco ‘Pancho‘ Sá formavano l’ossatura di un reparto che, sulla carta, prometteva solidità.
Il centrocampo era probabilmente il reparto più ricco di talento con Carlos Babington e Miguel Ángel Brindisi sugli scudi, freschi protagonisti del trionfo del Huracán nel campionato del ’73. A loro si aggiungevano giocatori del calibro di Roberto Telch e Enrique Chazarreta, entrambi bicampioni con il San Lorenzo.
In attacco “El Loco” René Houseman, altro prodotto di quel fantastico Huracán, era considerato uno dei talenti più cristallini del calcio sudamericano. Accanto a lui, Rubén Ayala portava l’esperienza maturata all’Atlético Madrid, mentre Héctor Yazalde era reduce da stagioni trionfali con Independiente e Sporting Lisbona.
Non possiamo dimenticare il giovane Mario Kempes, che pur non essendo ancora il fuoriclasse che sarebbe diventato quattro anni dopo, già mostrava lampi del suo immenso talento.
Altri nomi degni di nota includevano Agustín Balbuena e Aldo Poy, entrambi protagonisti con le loro squadre di club: il primo con l’Independiente dominatore della Libertadores, il secondo simbolo del Rosario Central bicampione nazionale.
L’esordio shock: Polonia-Argentina 3-2
Heredia insegue a fatica Grzegorz Lato
Il sorteggio non fu benevolo con l’Argentina. Nel Gruppo 4, l’Albiceleste si ritrovò con la nostra Italia vice-campione del mondo in carica, la Polonia campione olimpica e la debuttante Haiti. Un girone che si sarebbe rivelato più ostico del previsto.
Il 15 giugno 1974, allo Neckarstadion di Stoccarda, l’Argentina fece il suo debutto mondiale contro la Polonia. La scelta di schierare Carnevali in porta, preferito a Fillol e Santoro, si rivelò disastrosa. Dopo appena 8 minuti, l’Argentina era già sotto di due gol, il primo dei quali nato da un clamoroso errore del portiere. Nonostante una timida reazione nella ripresa, con le reti di Heredia e Babington, la Polonia si impose per 3-2. La squadra sudamericana era stata dominata sul piano del gioco, surclassata atleticamente e tatticamente. Gli errori individuali, in particolare quelli di Carnevali, avevano pesato enormemente, ma era l’intero assetto tattico a sembrare superato rispetto alla modernità del gioco polacco.
Un pareggio che sa di sconfitta: Argentina-Italia 1-1
Nella seconda giornata, l’Argentina era già con le spalle al muro. Contro l’Italia di Valcareggi la prestazione migliorò, ma non abbastanza. Il triunvirato tecnico decise di apportare alcune modifiche alla formazione e allo schema di gioco. L’Argentina si schierò con un 4-3-3, abbandonando il criticato 5-2-3 della prima partita. Bargas fu l’unico difensore a uscire per far spazio a un centrocampista aggiuntivo, Telch. In attacco, Houseman prese il posto di Brindisi, mentre Yazalde sostituì Balbuena.
Questi cambiamenti sembrarono dare i loro frutti. L’Argentina mostrò un gioco più fluido e propositivo rispetto alla prima uscita. Al 19° del primo tempo, arrivò il momento più esaltante per i sudamericani: Houseman, ricevuta palla da un lancio lungo di Babington, controllò magistralmente, fece rimbalzare una volta la sfera e poi la scaraventò nell’angolino della porta difesa da Zoff. Un gol di rara bellezza che illuse i tifosi argentini.
Una gioia breve, perché al 35° l’Italia pareggiò in modo rocambolesco. Su un cross dalla trequarti, il nostro Romeo Benetti arrivò in corsa e colpì di petto. Nel tentativo di liberare l’area, Perfumo deviò involontariamente la palla nella propria porta, battendo l’incolpevole Carnevali.
Il match si concluse sull’1-1 dopo una ripresa soporifera con gli uomini di Valcareggi più che contenti di portare a casa un pareggio. Ma il risultato finale lasciava l’amaro in bocca all’Argentina. La prestazione era stata certamente migliore rispetto a quella offerta contro la Polonia, ma non era bastata per ottenere una vittoria fondamentale.
Il miracolo sportivo (e non solo): Argentina-Haiti 4-1
Balbuena a terra nel match contro Haiti
Per passare il turno, l’Argentina doveva battere Haiti e sperare in una vittoria della Polonia sull’Italia. Quest’ultimo risultato, tuttavia, non conveniva a nessuna delle due squadre europee. Fu allora che entrarono in scena “strani” emissari. Mentre gli italiani tentarono un approccio diretto proponendo un pareggio concordato, un giornalista argentino offrì un “premio” ai polacchi in caso di vittoria sull’Italia. La differenza cruciale tra i due approcci stava nella presentazione dell’offerta. Mentre la proposta italiana era chiaramente un tentativo di manipolare il risultato, l’offerta argentina venne presentata come un “incentivo alla vittoria”, tecnicamente non vietato dalle regole dell’epoca.
Il 23 giugno, l’Argentina fece il suo dovere travolgendo Haiti per 4-1, dimostrando il potenziale offensivo dell’Albiceleste quando riusciva a giocare senza le pressioni e le tensioni che avevano caratterizzato le prime due partite del girone.
Contemporaneamente, la Polonia batteva l’Italia 2-1. L’Albiceleste era miracolosamente qualificata alla seconda fase. Ma l’ombra di quell’“incentivo” avrebbe aleggiato a lungo su quel passaggio del turno.
Arancia meccanica: Olanda-Argentina 4-0
Contro l’Albiceleste Cruijff esibì il meglio del suo repertorio
Nella seconda fase, l’Argentina si ritrovò in un girone proibitivo con Olanda, Brasile e Germania Est. Per la partita del 26 giugno, a Gelsenkirchen, il triumvirato tecnico argentino aveva apportato alcune modifiche alla formazione, inserendo Squeo a centrocampo e Balbuena in attacco, nella speranza di dare maggiore solidità alla squadra. Tuttavia, fin dai primi minuti, fu chiaro che queste scelte non avrebbero fatto la differenza contro la superiorità tattica, tecnica e fisica degli olandesi.
La partita si mise subito in salita per l’Argentina. Al 11°, il genio di Johann Cruijff si manifestò in tutta la sua grandezza: sfuggito alla marcatura, ricevette un lungo lancio, superò il portiere Carnevali con un tocco delizioso e insaccò a porta vuota. Il gol fu un colpo durissimo per il morale degli argentini, che si ritrovarono a rincorrere una squadra che sembrava giocare un altro sport.
La situazione peggiorò ulteriormente al 25°, quando Ruud Krol, con un preciso tiro da fuori area, raddoppiò il vantaggio olandese. L’Argentina era al completo sbando, incapace di reagire e di contrastare il gioco fluido e innovativo degli avversari.
Nel secondo tempo, nonostante i tentativi di cambiare le carte in tavola con l’ingresso di Glaría e Kempes, la musica non cambiò. L’Olanda continuò a dominare suggellando la propria superiorità con altri due gol. Prima Johnny Rep, sfruttando la sua abilità nel gioco aereo, siglò il terzo gol di testa. Poi, a un minuto dalla fine, Cruijff mise il sigillo finale sulla partita con la sua seconda rete personale.
Il 4-0 finale fu uno shock, una rivelazione brutale del divario che si era creato tra il calcio sudamericano e quello europeo. L’Argentina, abituata a considerarsi tra le potenze calcistiche mondiali, si trovò completamente spiazzata di fronte al “calcio totale” olandese.
Il Clásico amaro: Brasile-Argentina 2-1
I capitani Marinho e Brindisi si stringono la mano nel primo Clásico mondiale
Quattro giorni dopo, ad Hannover, andò in scena il primo Clásico sudamericano in un Mondiale. La squadra si schierò con un 4-3-3 che vedeva Carnevali tra i pali; Bargas, Glaría, Heredia e Sá in difesa; Squeo, Brindisi e Babington a centrocampo; Ayala, Balbuena e Kempes in attacco. Perfumo, Wolff, Houseman, Telch e Yazalde, precedentemente titolari, finirono in panchina, segno di una ricerca disperata della formula giusta.
Il match si rivelò meno squilibrato rispetto a quello con l’Olanda, ma l’Argentina non riuscì comunque a evitare la sconfitta. La partita si accese al 32° quando Roberto Rivelino portò in vantaggio il Brasile con un potente tiro da fuori area, coronando un’azione corale della Seleção. La gioia verdeoro durò poco, perché appena tre minuti dopo Miguel Brindisi pareggiò i conti con un preciso calcio di punizione che superò l’estremo difensore brasiliano Leão.
Nella ripresa l’Argentina tentò di dare una scossa inserendo Carrascosa al posto di Sá e Houseman per Kempes, ma questi cambi non ebbero il tempo di incidere. Appena quattro minuti dopo l’inizio del secondo tempo, Jairzinho riportò in vantaggio il Brasile con un colpo di testa ravvicinato, finalizzando un’azione iniziata da una discesa sulla fascia di Zé Maria.
Nonostante gli sforzi, l’Argentina non riuscì a reagire. Il 2-1 finale sancì la seconda sconfitta consecutiva dell’Albiceleste, spegnendo definitivamente le speranze di raggiungere la finale per il terzo posto.
L’ultimo atto: Germania Est-Argentina 1-1
Il vantaggio della DDR con Joachim Streich
Il 3 luglio, l’Argentina chiuse il suo Mondiale pareggiando 1-1 con la Germania Est. La partita si giocò in un’atmosfera surreale perché solo due giorni prima era giunta la notizia della morte del presidente Juan Domingo Perón. Il lutto nazionale si estese fino alla nazionale di calcio, che scese in campo con una fascia nera al braccio in segno di cordoglio. C’era stata persino l’ipotesi di non giocare la partita, ma alla fine si decise di scendere in campo.
Al 14° minuto del primo tempo, Joachim Streich portò in vantaggio la Germania Est con un colpo di testa in area, l’ennesima dimostrazione delle difficoltà argentine nel gioco aereo difensivo. Ma la reazione dell’Albiceleste non si fece attendere. Appena sei minuti dopo, al 20°, René Houseman pareggiò i conti, dimostrando ancora una volta le sue qualità offensive.
Il resto della partita scorse senza grandi emozioni. Nonostante l’Argentina non effettuasse sostituzioni, segno forse di una certa rassegnazione, la squadra riuscì a mantenere l’equilibrio fino al fischio finale. Il risultato di 1-1 fu forse il più giusto per una partita che aveva poco da offrire in termini di motivazioni per entrambe le squadre.
Lezioni da un fallimento
Il Mondiale del 1974 fu per i biancocelesti un doloroso fallimento su tutti i fronti.
Con una sola vittoria in sei partite, un gioco mai veramente convincente e l’amara sensazione di essere rimasti indietro rispetto all’evoluzione del calcio europeo, l’Albiceleste lasciò la Germania con più domande che risposte.
La lezione più dura arrivò probabilmente dalla partita contro l’Olanda. Il “calcio totale” degli Orange sembrò appartenere a un altro sport rispetto a quello praticato dagli argentini. La superiorità tattica, fisica e tecnica degli olandesi fu una rivelazione scioccante per un paese che si considerava all’avanguardia del calcio mondiale.
Ma da questo disastro nacque la consapevolezza che era necessario un cambiamento radicale. Il calcio argentino comprese che il talento individuale, per quanto straordinario, non era più sufficiente per competere ai massimi livelli. Era necessario un approccio più sistematico, una preparazione atletica all’altezza degli standard europei e, soprattutto, un progetto tecnico coerente e a lungo termine.
Fu in questo contesto che, poco dopo l’eliminazione, la Federazione argentina prese una decisione che si sarebbe rivelata cruciale: affidare la panchina della nazionale a César Luis Menotti. Con lui iniziava un’era di progetti a lungo termine, una novità per un paese abituato a cambiare allenatore ad ogni risultato negativo.
Menotti portò una ventata di aria fresca nel calcio argentino. Introdusse nuovi metodi di allenamento, diede importanza alla preparazione atletica e, soprattutto, costruì una squadra con un’identità di gioco precisa. Il suo lavoro avrebbe portato l’Argentina sul tetto del mondo quattro anni dopo, nel Mondiale casalingo del 1978.
È interessante notare come alcuni protagonisti del fallimento del ’74 ebbero la loro rivincita nel ’78. Ubaldo Fillol, che aveva fatto il suo esordio mondiale nell’ultima partita in Germania, divenne il portiere titolare e uno dei protagonisti del trionfo. Mario Kempes (nella foto), che nel ’74 era poco più di una promessa, si consacrò come stella mondiale nel ’78, vincendo il titolo di capocannoniere del torneo.