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12 maggio 1985: quando il Verona stupì l'Italia

12 maggio 1985: quando il Verona stupì l'ItaliaTUTTO mercato WEB
domenica 12 maggio 2024, 08:19Accadde Oggi...
di Redazione TMW
fonte Eurosport.it
C'era una volta l'ultima provinciale capace di vincere uno scudetto. La favola del Verona di Bagnoli compie proprio oggi 39 anni: il 12 maggio del 1985, infatti, i gialloblu conquistarono aritmeticamente il loro primo e unico titolo

Il 12 maggio del 1985, l’Hellas Verona si laurea Campione d’Italia. Grazie al pareggio per 1-1 sul campo di Bergamo, gli scaligeri poterono iniziare i festeggiamenti. Un tricolore impronosticabile, il primo ed unico nella loro storia e che ha in Bagnoli, Elkjaer, Galderisi alcuni degli eroi.

Lo scudetto del Verona compie 39 anni.
Era il 12 maggio 1985, mancava una giornata al termine: l’1-1 di Bergamo, con l’Atalanta, sancì un confine storico. Storico e, temo, irripetibile.
Tanto per cominciare, dal varo del girone unico (stagione 1929-’30), rimane la sola squadra di una città non capoluogo di regione ad aver realizzato una simile impresa: perché di impresa si trattò.
Era un altro calcio, d’accordo: con gerarchie precise ma non inviolabili.
Bastava provarci, il Verona ci riuscì.
Silvio Berlusconi sarebbe arrivato di lì a poco, nel 1986; la sentenza Bosman era ancora lontana (15 dicembre 1995). Molto vicina e molto agguerrita, in compenso, la concorrenza: la Juventus di Michel Platini, campione in carica, il Napoli di Diego Maradona, l’Inter di Karl-Heinz Rummenigge, il Milan di Mark Hateley.
Le squadre erano sedici, gli stranieri due, le rose umane.
Venne introdotto il sorteggio degli arbitri: non integrale, però. Molto passò da lì. Non tutto. L’Hellas si reggeva su uno proprietario munifico come Ferdinando Chiampan, che pur di sognare non badò a bruschi risvegli; un direttore sportivo di silenziosa competenza, Emiliano Mascetti; e un allenatore tutto arrosto (anche troppo, per l’epoca): Osvaldo Bagnoli. Il presidente, Celestino Guidotti, sembrava uscito dalla penna di Honoré de Balzac.

La mente corre al miracolo Leicester del 2016, sintesi tecnico-economica di un sistema infinitamente più bilanciato. Ma non fu la stessa cosa. Claudio Ranieri ereditò «volpi» che avevano evitato di un soffio la retrocessione.
Bagnoli, viceversa, giunse al trionfo per gradi: promozione nel 1982, quarto posto nel 1983, sesto nel 1984 con il carico di due finali di Coppa Italia e un paio di turni di Coppa Uefa (incluso il romanzesco 3-2 sul campo minato della Stella Rossa).
Il gioco era un ibrido che onorava la tradizione rifiutandone i postulati più sciocchi. Parola d’ordine, «il terzino faccia il terzino». Fra i pali, Claudio Garella: mai visto un portiere «senza mani» vincere due scudetti (il secondo, nel 1987, a Napoli). Poi Roberto Tricella libero moderno, Mauro Ferroni e Silvano Fontolan in marcatura; il nottambulo Luciano Marangon e il decathleta Hans Peter-Briegel a spingere, Antonio Di Gennaro in regia con Domenico Volpati, di professione dentista, o Luciano Bruni a guardargli le spalle; Pierino Fanna tornante e andante; il nano Galderisi e quella forza della natura di Preben Elkjaer-Larsen a buttar giù i muri avversari, chi di fioretto e chi a sportellate.
La politica degli scarti, da Fanna a Galderisi, risultò mossa cruciale.
All’esordio, subito 3-1 al Napoli del primissimo Maradona. E quindi, strada facendo, 2-0 a Madama con gol «scalzo» del danesone.

In totale: 15 vittorie, 13 pareggi e la miseria di 2 sconfitte; miglior difesa e secondo attacco. Dietro, a conferma dell’eccezionalità del messaggio, il Toro di Gigi Radice. Il Verona, «quel» Verona, avrebbe concluso il ciclo nel ’90, inghiottito dalla Serie B. E sempre con l’Osvaldo della Bovisa al timone. Oggi, una favola del genere è impensabile. I diritti televisivi hanno sventrato gli equilibri, la provincia può aspirare al massimo alla zona Champions, come certifica il boom dell’Atalanta: stadio di proprietà, piani chiari e, per paradosso, Europa più scalabile di quanto non lo sia lo scudetto.

La Juventus ne ha vinti otto, il Bayern sette, in Spagna o è Barcellona o è Real, in Francia - che pure visse, nel 2012, l’esperienza «veronese» del Montpellier - domina il Paris Saint-Qatar. L’ingorgo inglese appartiene a un altro spirito, a un’altra cultura. Il glorioso blitz del Verona, fondato da un pugno di studenti e «Hellas» su idea del loro professore di greco, resta l’eccezione che - più ancora del titolo sampdoriano del 1991 - segnò l'ultima ribellione al calcio chiuso. A maggior ragione, cin cin.

di Roberto Beccantini per EUROSPORT.IT

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